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Il fiume Lemene

La città di Portogruaro è nata lungo il fiume Lemene, e grazie ad esso ha costruito le sue fortune. Anzi, il suo nome è così intimamenre legato a quello del fiurne che sovente Portogruaro è chiamata la Città del Lemene. Se questo possedesse una carta d'identità, alla voce luogo di nascita bisognerebbe scrivere: sconosciuto. Se il luogo preciso è ignoto, si può tuttavia identificare l'area in quel complesso di terre tra S. Vito e Casarsa noto corne zona delle risorgive. La roggia Versa, che scaturisce ad est di Casarsa, arricchita di altre rogge e fiumicelli, nei pressi di Bagnarola cambia il suo nome in Lemene. Dopo aver superato Stallis, Cintello e Portovecchio, il Lemene giunge a Portogruaro, dove riceve le acque della roggia Versiola e del fiume Reghena.
Nel suo corso superiore il Lemene scorre tra rive fittamente ricoperte di vegetazione, con acque limpide e fondali ghiaiosi. Le sue acque facevano azionare il mulino di Stallis, quello di Boldara (entrambi caduti in disuso) e quello di Portovecchio, ancora funzionante, con le sue ruote e pulegge.
All'altezza di Portovecchio il Lemene attraversa il vasto parco della proprietà Furlanis e lambisce la villa Bombarda-Furlanis. Si tratra di un pregevole edificio, ancorché dalle linee semplici, a due piani. Sulla parte centrale è innestato un elegante timpano, privo ora della meridiana che vi campeggiava. La villa è già documentata nel 1661, come proprietà dei nobili veneti Giulio Giustinian e fratelli. Passata nel secolo successivo ai nobili Michiel, fu acquistatá verso il 1840 dalla famiglia Bombarda. E' ora di proprietà della famiglia Furlanis. Contiguo all'edificio è un elegante oratorio pubblico del Seicento, dedicato alla B.V. Addolorata. Nel tratto tra Portovecchio e Portogruaro il Lemene è stato sottoposto in anni recenti a lavori di arginatura, che lo hanno privato in parte della caratteristica vegetazione riparia. Oltrepassato il ponte in ferro della Ferrovia Venezia-Trieste, il Lemene entra in Portogrutaro. Uscito dalla città, ricevuto l'apporto del Reghena, il fiume si avvia con lento fluire verso Concordia. A partire da qui, e ancor di più da Cavanella il Lemene, come scriveva Carlo Sgorlon nella presentazione di un libro fotografico dedicato al fiume, va rivelando più chiaramente i segni della sua senescenza. Esso si allarga, ma come si dilatano i ricordi di un vecchio, che sembrano acquistare solennità dal grande arco di anni di cui è tessuta la sua vita.
Da Cavanella il Lemene disegna due grandi anse, una in corrispondenza della Tenuta Franzona e una all'altezza del Marango. Il paesaggio circostante è quello tipico della bonifica, con ampie distese per lo più coltivate a mais, fra cui si levano i tipici casamenti rustici, molti dei quali purtroppo abbandonati.
Nella sua parte terminale il Lemene scorre fra due alti argini e, lambendo l'abitato di S. Gaetano, in comune di Caorle, sfocia nel canale Nicesolo a Bocca Volta, nei pressi di un caratteristico villaggio di casoni, vecchie abitazioni ricoperte di canne palustri, ancora utilizzate dai pescatori. Cosi nella laguna di Caorle, fra lo stormire di alti pioppi e un incantato silenzio rotto dallo stridio dei cocai, muore il Lemene, questo breve fiume di risorgiva, che se pure ha una sua valenza dal punto di vista naturalistico, geografico e idrografico (nel tratto compreso fra Portogruaro e il mare è ancora classificato tra i fiumi navigabili di prima categoria, benché sia bisognoso di urgenti interventi di ragaggio), ha un'importanza ancora maggiore dal punto di vista storico ed economico.
Tra i paesi e le cittadine che il Lemene bagna con le sue acque, la più importante è certamente Portogruaro; sulle rive di questo fiume infatti, per geniale intuizione del vescovo Gervino, sorse nel 1140 il primo insediamento della città, anche se è riconosciuto che un nucleo abitato dovesse già esserci. Nei tempi remoti, quando le vie di comunicazione erano insicure, sia per le insidie degli uomini sia per le avversità della natura, le vie d'acqua hanno sempre costituito un luogo privilegiato per il trasporto di persone e merci. Il corso fluviale del Lemene che era ben noto agli antichi geografi (ne parla Plinio il Vecchio: Colonia Concordia, flumen et Portus Romatinum), dopo una parentesi di oblio ritorna agli onori della cronaca, o della storia, con l'imperatore Ottone III, anche se solo come elemento indicativo di un territorio.
Nel 996 infatti Ottone III sceso in Italia dalla Germania, si trova a Verona. Il vescovo di Concordia Bennone accorre a rendergli omaggio, e l'imperatore gli rilascia un diploma con cui sancisce il riconoscimento e la conferma dei diritti del vescovado concordiese su un vasto territorio che comprende una foresta delimitata da una parte dai fiumi Fiume, Meduna e Livenza, e dall'altra dall' aqua que vocatur Lemen, l'acqua che si chiama Lemene. E' quasi certamente la prima volta in cui il Lemene compare nei documenti col suo nome attuale. Su questa donazione si basano i diritti dei vescovi di Concordia sul fiume Lemene. E' probabile che i vescovi concordiesi avessero posto il pagamento di un pedaggio sulle merci e persone che transitavano sul fiume in più luoghi anche se, in seguito allo sviluppo di Portogruaro e all'importanza che presto assunse come centro commerciale, i maggiori dazi o mude, come venivano chiamati, si riscuotevano nella nostra città.
Dalle testimonianze raccolte dal vescovo Guido de Guisis tra il 1336 e il 1338 per far riconoscere i diritti della sede vescovile che per vari motivi erano andati decadendo, si ricava che quando i burchi o le navi da carico passavano per Concordia, l'incaricato del vescovo (mudarius), riscuoteva da ciascun natante una libbra di pepe; se la nave aveva un solo timone, il tributo era di un grosso, se aveva due timoni il tributo era di due grossi. In cambio il vescovo era tenuto a tenere la riva del fiume sgombra da arbusti e ronchi, cosi che quelli che trascinavano la nave con le corde potessero andare speditamente sull'alzaia. Questa prassi di trascinare le grosse barche da carico lungo i canali interni è testimoniata ancora da Cassiodoro: capita di vedere le vostre navi trascorrere come se camminassero in mezzo ai prati; si muovono tratte da funi e, diversamente dal normale, sono i piedi degli uomini cbe le trascinano, e se ne può notate una plastica imunagine nel famoso dipinto di Cagnaccio da S.Pietro una volta esposto presso la sede di Portogruaro della Cassa di Risparmio di Venezia ed ora emigrato a Venezia.
Nel 1370 il podestà di Concordia chiede al vescovo che un certo Odorico detto Prua, araldo della comunità di Concordia, possa custodire il ponte costruito sul fiume Lemene, di spettanza del vescovo e della chiesa concordiese, e alzarlo ogni volta che un grosso barcone con l'albero issato passa per il fiume sotto questo ponte; per questo lavoro e per ogni volta che alza il ponte, Odorico possa ricevere sei lire veronesi di piccoli per ogni barca, come è sempre stata consuetudine. Il vescovo accorda il permesso.
Ma ritorniamo ancora per un momento alle testimonianze raccolte dal vescovo de Guisis. Il canonico Bertoluccio dichiara che per le merci che arrivano a Concordia dal tratto inferiore del Lemene e vengono lì scaricate, il vescovo riceve una libbra di pepe da ogni mercante; e se le merci vengono vendute a Concordia, ogni mercante deve versare al vescovo la quarantesima parte del loro valore. Se invece le merci proseguono per Portogruaro, il dazio non si paga a Concordia, bensì a Portogruaro. Se i portogruaresi comprano la merce e la rivendono a forestieri, sono quest'ultimi a pagare il dazio, perché gli abitanti della città sono esentati dal pagamento della tassa. Il canonico testimonia infine che il vescovo può tenere la catena sul Lemene, e ciò ricorda di averlo visto fare da ben cinque vescovi, benché gli abitanti di Portogruaro, alla morte di ogni vescovo, l'avessero distrutta ogni volta.
La questione della catena sul fiume Lemene, chiamata anche palada o rastrello, per molto tempo fu causa di attriti fra i vescovi di Concordia e gli abitanti di Portogruaro.
Questa catena, o rastrello, impediva il transito delle barche sul fiume, e quindi il possesso della chiave della catena stava ad indicare chi esercitava l'autorità sul fiume. E l'autorità era del vescovo. Ciò fu ribadito anche in una sentenza emessa dal patriarca di Aquileia Pagano della Torre il 12 gennaio 1321. Questi era stato chiamato a giudicare in una causa tra il vescovo di Concordia, Artico di Castello, e il Comune di Portogruaro. Il patriarca decretò che il fiume Lemene, con ogni utile e vantaggio, apparteneva al vescovado di Concordia, benché il Comune potesse avere una chiave della catena tirata sul fiume, esclusivamente però a scopi difensivi. E se i cittadini volevano installare un'altra catena, ciò era subordinato al beneplacito del vescovo.
E' risaputo che sia nell'antichità sia nel medioevo i fiumi hanno costituito una via privilegiata per l'occupazione delle città, e ciò, come si vedrà più avanti, fu sul punto di succedere anche a Portogruaro. Ecco perché il Comune ottenne di avere una chiave della catena sul Lemene.
Col passare del tempo le cose cambiarono leggermente. Se il vescovo rimane sempre titolare dei diritti sul fiume, al Comune spetta il compito di provvedere alla difesa della città e alla manutenzione delle fosse. Nei secoli XV e XVI il Comune autorizza più volte sia il vescovo, sia privati cittadini, ad eseguire opere sul fiume Lemene, purché non ne risulti danno alle opere pubbliche. Nel 1499, per esempio, il Comune decide che per la salubrità dell'aria e beneficio degli abitanti un impianto per la follatura della lana venga trasferito dal ponte del Palù alla porta di S. Giovanni, poiché al Palù questo impianto tien le aque che non ponno haver el suo corso, et vi si marciscono, et infetano lo aere et damnificano alcune persone.
Oltre che fonte di reddito, il Lemene costituì per secoli anche la fonte di approvvigionamento idrico della città, fino al 1908, anno in cui fu inaugurato l'acquedotto civico.
Un ultimo accenno al nome del fiume. Tralasciate le etimologie fantasiose, come quella che ne farebbe derivare il nome dal condottiero greco Pilemene, partecipe all'assedio di Troia e giunto da queste parti in compagnia di Antenore, il mitico fondatore di Padova, i glottologi propendono per far derivare il nome del Lemene dal termine latino limen, che significa soglia, confine, limite.
E ciò, al di là delle considerazioni strettamente linguistiche, ben si adatta alla natura del nostro fiume, che è un fiume di frontiera, posto com'è a cavallo tra Veneto e Friuli, e come tutte le realtà di conifine gode dei pregi di una terra e dell'altra.

Brano tratto da "Portogruaro" di Roberto Sandron con l'autorizzazione dell'Associazione Pro Loco Portogruaro

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