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La Repubblica a Portogruaro
(ricordi del quarantotto)

Le prime notizio dei moti di venezia giunsero qui il 18 marzo, di sera, la vigilia della festa di S. Giuseppe. molta gente era al rosario nella chiesa di S. Agnese, dove pure il lieto annuncio si diffuse, come il lampo, mettendo in subbuglio quei buoni fedeli.
Subito fu proclamaa solennemente la repubblica anche in Portogruaro. Un certo Diodati e altri due maggiorenti del paese, a cavallo tutti e tre, cinti gloriosamente della fascia tricolore, percorsero in trionfo le vie, dichiarando scaduto il governo austriaco ed instaurando il regime repubblicano.
Intando le truppe tedesche erano già dileguate . Rimanevano ancora le guardie di Finanza e i Birri, le prime asserragliate nella loro caserma, sita dove ora trovasi quella dei R. Carabinieri. si scambiarono poche fucilate, ma poi gli ultimi sostenitori dell'aquila bicipite cedettero le armi, e la repubblica portogruarese non ebbe più ombra di nemici dentro le mura.
La gazzarra, cominciata la sera della proclamazione , si protrasse per ben tre giorni e tr notti, continua, pazzesca, indescrivibile: musiche, luminarie, canti, baci e abbracci fra artieri e signore, fra uomini e donne - tutti amici, tutti fratelli, e tutti fuori di casa per le vie, e specie raccolti a urlare e schiamazzare, ebbri di gioia come gente rapita da un sogno di mai sperata felicità. Si costituì immediatamente la guardia Civica, armata lì per lì di schioppi, di spiedi e di tutte le armi arruginite, dei ferrivecchi che poteronsi affastellare in paese e poi di circa 300 fucili a pietra focaia fatti venire appositamnete da Venezia.
In quei giorni di libertà si abbatterono tutti gli stemmi austriaci, che trovavansi negli uffici pubblici e, con altra all'uopo raccolta se ne fece una gran catasa in mezzo alla piazza grande (ora Umberto I) e una mattina fatto largo e tenuta a bada la folla mediante un cordone di guardie che dallo stendardo andava fino al palazzo municipale vi si appiccò il fuoco in mezzo all'universale tripudio. Le fiamme salirono alte, ma ben più alte si levarono le grida della folla, che poteva impunemente sfogarsi contro l'abborrito uccello bicipite, e dopo tante pene e tanto odio represso.
Quando la gran catasta era pressochè estinta e tra poche lingue di fuoco non rimaneva che un enorme braciere, da la folla si stacco un cane e corse difilato verso il braciere, e sopra la cenere degli stemmi austriaci , alzando la gamba nella tradizionale maniera espresse il suo entusiasmo patriottico in modo così effiace, che da tutta la gente stipata sulla piazza , per i portici , alle finestre proruppe uno scoppio tale di ilarità, da fare quasi tremare le case. L'aneddoto del cane patriota è rimasto così vivamente impresso nella mente dei pochi, che se lo ricordano, che, raccontandolo, non possono ancor oggi frenare le risa.
Notisi che in quei giorni memorabili anche il nostro Seminario, fiorentissimo allora per concorso di studenti e per raccolta di eletti professori, prese vivissima parte all'entusiasmo del paese. Per tre giorni e tre notti gli scolarin messi da parte i libri, si abbandonavano alla comune baldoria, fraternizzando coi cittadini. Si ricorda pure di quel tempo l'ingresso trionfale e la sfilata della Guardia Civica di Caorle, venuta con un trabaccolo, sotto il comando di certo Latis, a condividere le gioie di libertà del capoluogo.
qulche giorno dopoi le vicende narrate si celebrò la messa sulla pubblica piazza - sopra un altare eretto appositamnete accanto al piedistallo dello stendardo. Pontificava Mons. Roder ed assisteva il vecchi vescovo Mons. Fontanini, cieco, da una cattedra innalzata sul piazzale attiguo dei grani, e coperta da una gran tenda, formata colle vele tolte dalle barche dei buoni marinai paesani.
Fu benedetta la bandiera tricolore stesa sull'altare e poi immediatamente fissato sullo stendardo fra le acclamazioni e gli spari della fucileria della guardia civica e le salve di due cannoncini portati da venezia e posti sul campiello accanto al muicipio.
Non è da dirsi, che brutti quarti d'ora abbiamo allora passato quei cotali, che erano in odore di spie, per essere intimi di austriaca pece. Si ricorda fra gli altri un Tribaldi, segretario comunale, il quale non si sà per qualche parola o qualche frizzo lanciato contro la pur mò nata repubblica, una sera al Caffè Minio fu fatto segno a un tale scoppio di furore popolare, che a mala pena si salvò, trascinato da pochi amici su per le scale della casa sovrastante, fino al tetto, di dove sgattaiolò per la via poco comoda delle tegole fino all'abbaino di casa sua e di qui scomparve, non senza aver dato sfogo nei calzoni alla tremarella di quel gran brutto momento.
il nostro paese fraternizzata allora con Udine, dividendone le sorti; e di qui anzi partirono a quella volta 24 crociati, fra i quali un Marquardo Frattina, un Toffolo, ecc.
Ma i bei giorni erano contati e altrove si preparavano ben tristi eventi.
In aprile cominciarono a giungere prima contraddittorie, poi sempre più brutte, di sconfitte, ritirate, di tradimenti ....; e finalmente si sparse la voce fatale: <> Si radunarono a consiglio i coscritti; si decise di tagliare il ponte del Marcello, perchè di là si temeva il ritorno delle truppe telefonici. La guardia civica era sempre in moto ed in arme, odorando chi sa quali battaglie e quale fortunoso assedio. Un bel giorno, anzi un brutto giorno di maggio uno, che veniva da Latisana, dovette fermare il suo cavallo davanti a un ufficiale e a un furiere austriaco i quali gli chiesero la strada per Portogruaro, e poi anzi gli montarono in caretta, e vennero in paese con quel mezzo abbastanza spiccio. Saliti nel palazzo Comunale, nella mentre la bandiera tricolore sventolava ancora sullo stendardo, e i due cannoncini del campiello tendevano al sole le loro innocue bocche nerastre, domandarono un cittadino, uno della giunta e uno del clero per garanzia e scorta al sicuro ingresso delle truppe, che avanzavano dal tagliamento. Così fu fatto. dapprima entrò un carro con dodici soldati , la baionetta in canna, passo passo, poi un altro, e poi un altro ancora, quindi tutta la colonna delle truppe, che si agglomeravano nella piazza, occuparono il municipio e poi tutti gli sbocchi dei sobborghi.
Tanto entusiasmo e tanti sogni finirono al cupo rullare dei tamburo tedeschi! La repressione si instaurò feroce, inesorabile. Furono perquisite le case, sequestrate le armi, nonchè ogni strumento di difesa, pena la morte. A qualche disgraziato toccò pure la fucilazione. Si ricorda un Cimetta, coraggioso barcaiolo di qui, che traghettava col suo troppo armi, armati, viveri e munizioni, passando per Caorle, dove le piroghe tedesce, con 5 cannoni ciascuna, non l'avevano mai fermato. L'infelice fu vittima della sua spavalderia. Avvertito da qulche impiegato del municipio, che dal comando generale era stato a suo carico il mandato di cattura, egli continuava a ridersi dei "patucchi": un primo, un secondo, un terzo messo egli rimandò, finche la pattuglia fatale lo colse in casa, gli perquisì ogni angolo, trovando pistole, cartucce, ed altre armi. Ammanettavano e costudito da dodici croati, egli fu spedito a S. Donà e ivi, giudicato dal tribunale di guerra, ebbe rotto il petto dalle palle allo scadere allo scadere di venriquatto ore. Il suo nome figura tra i Martiri, nel bel volume di Atto Vannucci.
Così di spense anche qui la repubblica del 48, breve raggio di sole nella notte del dominio straniero, che doveva protrarsi ancora per diciotto lunghi anni.
Il cerchio di ferro si stringeva intanto attorno a Venezia già pronta al memorabile assedio; e chi dal nostro paese usciva, la sera, verso Summaga, poteva udire distintamente il rombo del cannone, lugubre contrasto ai canti di gioia e di libertà poco prima intuonati.

Con il plebiscito dell'ottobre 1866 il Veneto entrò a far parte del Regno d'Italia.
La fine del secolo scorso è caratterizzata nella nostra zona dalle imponenti opere di bonifica delle terre paludose, che permisero di rendere coltivabili migliaia di ettari. La Repubblica di Venezia ancora nel sec. XVI avava cominciato ad interessarsi del problema, e nel 1620 fu costituito un consorzio per regolare il deflusso del canale Lugugnana.
Il ritratto della borghesia portogruarese del tempo, proprietaria di estesi latifondi, non è crto lusinghiero, ma anche il contadino non ne esce certo bene. Costui viene definito ignorante e restio ad agni genere di innovazione, di condizione economica miserabil, sottoposto ad una alimentazione fatta di polenta, legumi mal conditi e qualche pesce secco, dedito al furto campestre, reazionario in politica, nostalgico del dominio austriaco, ostilissimo al servzio militare, diffidente di tutti ed in specie nel padrone.
A contrastare la dilagante miseria di quegli anni, sorgono anche in Portogruaro società operaie e associazioni di mutuo soccorso. Il "progresso" arriva, con l'inaugurazione della linea ferroviaria Mestre-Portogruaro nel 1886, illuminazione elettrica nel 1898, il telefono nel 1905, e l'acquedotto nel 1908, Nel 1911 viene aperta la Casa di riposo.
Il censimento del 1901 registra a Portogruaro 9.636 abitanti rispetto ai 9.067 del 1871; gli esercizi commerciali che nel 1868 erano 92, nel 1901 arrivano a 122.
Lo scoppio della prima guerra mondiale interessò anche Portogruaro, che fu sede dell'Intendenza della III Armata fino all'aprile del 1916. Nel maggio e nel giugno di quell'anno la città fu più volte bombardata da aerei austriaci. Dopo la rotta di Caporetto Portogruaro fu occupata dagli austriaci. Nell'anno della triste invasione le condizioni di vita delle persone rimaste erano terribili. In una lettera del 6 marzo 1918 indirizzata al papa dal vescovo di Concordia, mons. Isola, assieme ad altri vescovi delle terre occupate, si legge: le conseguenze inevitabili della guerra hanno ridotte le notre povere diocesi a tale condizione che si affaccia, ormai un dì più dell'altro, l'orribile spettro della fame. Ad aggravare la triste condizione economica di queste nostre popolazione, venne ad aggiungersi un gran numero di profughi ... privi di ogni risorsa e di ogni mezzo di sussistenza ... Padre Santo, non domandiamo denaro che nei momenti attuali ci tornerebbe inutile, ma intenerirti fino alle lagrime sulle sofferenze di queste popolazioni domandiamo pane.
Il 3 novembre 1918 l'esercito italiano entrava in Portogruaro. Alla fine della guerra la città è un immenso letamaio, pieno di desolazione, con le case vuote tutte.
Poco alla volta i soldati ritornarono a casa, la gran parte nelle campagne, e la somma di una serie di fattori (l'abbandono delle colture a causa della gerra, carenze alimentari, l'aggravarsi delle condizioni igenico-sanitarie, ecc.) unita spesso all'assenteismo dei proprietari terrier, provocò anche nella nostra zona una serie di lotte agrarie tra il 1919 e il 1921.
Le agitazioni agrarie finirono nel 1912, quando i proprietari terrieri, favorendo l'avvento del fascismo, ne ricevettero in cambio l'aiuto degli squadristi per avere ragione sui contadini.
il regime fascista portò avanti le frandi opere di bonifica intraprese alla fine del secolo precedente.
Nel periodo fra le due guerre la principale attività produttiva era l'agricolura (nel 1931 vi era dedito altre il 70% della popolazione, seppur praticata con scarso impegno di mezzi meccanici. Alla mancanza di questi supplivano le braccia, e spesso una prole numerosa significava maggiori probabilita di ottenere a mezzadria una proprietà. I contratti di mezzadria erano annuali, e si rinnovavano il giorno di S.Martino.
Durante la seconda guerra mondiale anche la nostra città pagò il suo inevitabile tributo di morte e distruzioni. la resistenza fu particolarmente attiva nel Veneto Orientale, e non furono pochi coloro che caddero per la libertà. Un episodio particolarmente efferato fu l'impiccagione in piazza della Repubblica, il 18 dicembre del 1944 di tre giovani partigiani.
Il primo sindaco di Portogruaro dopo il 25 aprile 1945 fu Francesco Fabroni
Dopo la tristre parentesi del fascismo e della seconda guerra mondiale, nel 1946 ripresero le lotte agrarie: nella zona del Livenza - Tagliamento l'1,25 dei proprietari terrieri possedeva il 54,4% dei terreni.
La riforma agraria degli anni '50 permise anche nella nostra zona,a costo di grandi sacrifici, di estendere la piccola proprietà contadina.
Dall'800 ad oggi Portogruaro non hai mai goduto pienamente di uno sviluppo economico adeguato, in quanto la borghesia latifondisa, profondamnete conseratrice e legata alla terra , ha impedito qualsiasi sviluppo industriale.
Portogruaro è oggi un comune di 25.000 abitanti, che basa la propria economia sull'artigianato, il commercio, l'agricoltura. Di grande qualità è la produzione vinicola che, diffusa in tutto il territorio comunale, nella zona di Lison ha ottenuto la denominazione di origine controllata.
Una caratteristica della città è il grande mercato del giovedì, la la cui origine risale ben addietro nel tempo. In questa occasione gran parte del centro storico, compresa piazza della Repubblica, viene invasa da centinaia di bancarelle multicolori che offrono agli acquirenti, provenienti da tutto il territorio circostante, un'ampia scelta di merci. Era sata avanzata la proposta di spostare il mercato al di fuori del centro storico, ma una protesta generalizzata ha fatto desistere dal proposito.
Gli ultimi anni hanno visto un considerevole incremento delle opere pubbliche, anche se la città attende ancora soluzioni per la grande viabilità e per altri problemi.
Sono presenti in Portogruaro quasi tutti i tipi di istruzione secondaria, e del 1995 è pure attivo un corso di alurea breve in edilizia.
Le strutture sportive sono adeguate, e tra esse primeggia la piscina comunale. L'associanismo sportivo, colturale, sociale, ecc. è diffuso a vari livelli e la vita culturale è abbastanza attiva e ricca di stimoli.
Portogruaro non è un certo di grandi dimensioni, e forse proprio per questo ha saputo conservare, in felice armonia, le testimonianze più preziose del passato, per offrirle a chi le si accosta con animo aperto.

Brano tratto da "Portogruaro" di Roberto Sandron con l'autorizzazione dell'Associazione Pro Loco Portogruaro

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