L'attività artistica di Russolo ha avuto molteplici interessi ed è stata caratterizzata da passaggi da un tipo di arte ad un’altra: dalla musica alla pittura, di nuovo alla musica, poi alla filosofia e all’esoterico, per poi finire, negli ultimi anni, ancora con la pittura. La musica e la pittura non possono essere accostate per univocità di linguaggio o per contenuti, ma il fatto che Russolo ne abbia fatto uso, non fa che rafforzare '’ipotesi che in quell’uomo albergasse la certezza dell'universalità del'’arte e dell'esistenza di linguaggi comuni a tutte le arti: dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alla musica, dal teatro alla danza, dalla poesia al “rumore”. L'eccleticità artistica di Russolo, evidenziata negli ultimi anni del futurismo, è sempre stata supportata da un aspetto razionale, spesso motivato da ideali certezze estetiche e filosofiche, ma anche da un’empirica praticabilità delle arti.
Luigi Carlo Filippo Russolo, che nacque a Portogruaro nel 1885 il primo di maggio, venne dapprima iniziato alla musica, seguendo così una certa tradizione familiare. Suo padre Domenico era organista presso il Duomo di Portogruaro e direttore della Schola Cantorum di Latisana, in provincia di Udine. La forte tradizione musicale nella famiglia portò i due fratelli maggiori di Luigi, Giovanni e Antonio, a diplomarsi al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Luigi non seguì, se non più tardi e con musicalità e idee diverse, le orme del padre.
Nel 1901, terminati gli studi ginnasiali, raggiunse la famiglia a Milano, dove di giorno lavorava come apprendista restauratore nella bottega del Crivelli - col quale mise mano all’Ultima cena di Leonardo - la sera seguiva i corsi all'Accademia di Belle Arti di Brera. Qui ebbe modo di stringere amicizia con Carlo Carrà; prestò la sua opera come bozzettista per costumi teatrali. Russolo, come la maggior parte degli artisti di allora, frequentava il Caffè Sorini, dove incontrò Balla, Boccioni e il poeta Buzzi, di questi divenne amico. Con i pittori firmatari del Manifesto futurista partecipò, nel 1911, presso la Casa del Lavoro di Milano, alla 1a Esposizione d’Arte Libera. Con il gruppo futurista espose nelle maggiori città gallerie europee: alla Riesing dell’Aja, alla Bernheim Jeune di Parigi, Sakville Galerie di Londra, alla galleria Der Sturm di Berlino, alla Galerie Giroux di Bruxelles e infine alla Galerie Andretsche di Amsterdam.
La figura di Russolo, a posteriori, risulta essere alquanto complessa e i risultati artistici furono segnati da alterne fortune, da momenti di ripensamento e cambiamento anche nello stile di vita. Le rivoluzionarie composizioni musicali trovarono una prima teorizzazione nella rivista Lacerba, dove Russolo pubblicò articoli di musica. Iniziarono così le prime riflessioni sulla musica non melodia e sulle “macchine musicali” che riproducevano i suoni della città, del progresso, dei motori a scoppio, della guerra. L'interesse della critica fu veramente alto, tanto che nella Casa Rossa di Marinetti in Corso Venezia a Milano, Russolo presentò alla stampa di tutto il mondo ben undici tipi di Intonarumori, alcuni dei quali furono utilizzati per la prima volta nell’opera di Pratella L'Aviatore Dro. Nel corso degli anni ne brevettò ben 27 (rombatori, gorgogliatori, ronzatori, stropicciatori, crepitatori, sibilatori ululatori, scoppiatori, ecc).
Il 21 aprile 1914 Russolo diresse, al teatro Dal Verne in Milano, il suo Primo Concerto Futurista per Intonarumori, diviso in tre parti: Risveglio di una città; Si pranza sulla terrazza del Kursaal; Convegno di automobili e aeroplani
Fu un'esperienza veramente intensa per l'artista, in quanto i “rumori” più forti non vennero emessi dagli strumenti dell’artista portogruarese, ma dalla folla che insorse in modo decisamente violento, tanto da richiedere l'intervento delle forze dell'ordine.
Lo stesso anno Stravinskij e Diaghilev erano giunti a Milano per ascoltare il Concerto Futurista per Intonarumori. Per gli illustri ospiti Marinetti organizzò a casa sua un’audizione riservata. Stravinskij accettò volentieri l'invito, poiché intendeva verificare la possibilità di utilizzarne alcuni in uno dei suoi concerti. Francesco Cangiullo, ne Le serate futuriste: romanzo storico vissuto, descrisse così quella serata: “Un crepitatore crepitò con mille scintille, come focoso torrente. Stravinskij schizzò emettendo un sibilo di pazza gioia, scattò dal divano da cui sembrò scattasse una molla. In quella un frusciatore frusciò come gonne di seta d’inverno, come foglie novelle d'aprile ... Il compositore frenetico si avventò sul piano per cercare di trovare quell'onomatopeico suono prodigioso, ma invano provò tutti i semitoni con le sue dita avide, mentre il ballerino [Massine] muoveva le gambe del mestiere... Diaghilev faceva: Ah-ah-ah-ah, come una quaglia. L'unico che non si commosse era proprio l'inventore; si maneggiava il pizzetto ed obiettava: ‘Sìii ... potrebbero anche andare ... ma dovranno essere altro che modificati”.
Nel 1915 l'impegno con la storia venne mantenuto. Russolo, con i suoi amici futuristi - Funi, Boccioni, Sant'Elia, Sironi - fu incorporato al Battaglione Volontari Ciclisti Lombardi. Partì per il fronte e il 10 novembre del 1915, con il grado di tenente presso il Vo Battaglione Alpini del Brenta. Da quell'esperienza ne uscì ferito fisicamente – alla testa – e moralmente: morirono Boccioni e Sant'Elia. Dopo il secondo soggiorno parigino Russolo aderì, per una sola mostra alla nuova corrente pittorica, più tardi teorizzata dalla Sarfatti come Novecento, firmando il manifesto: Contro tutti i ritorni in pittura. Ma ormai era imminente l’abbandono anche degli interessi musicali. Partecipò, nel 1926, alla Biennale di Venezia, con l'opera Impresioni di un Bombardamento – opera ora di proprietà del Comune di Portogruaro – presentata dallo stesso Marinetti. Dopo quella manifestazione Russolo si ritirò, prima in Spagna poi a Cerro di Laveno, sul Lago Maggiore, dove morì nel 1947.
La pittura lo richiamò nel 1942. Le opere di quegli anni si possono definire come lo specchio di una personalità isolata, volontariamente fuori da ogni movimento artistico. Così lo descrisse Carrà: “Per lui, come per ogni vero artista, la pittura non è mai stata momento da spendere alla giornata. Ritiratosi sul Lago Maggiore il rigore morale si è forse anche accentuato, e ciò si arguisce osservando le opere di questi ultimi anni, dove ogni traccia di aprioristico tendenzioso modernismo è completamente scomparso. Guidato da una forte coscienza morale, cerca anzitutto di conferire alla sua pittura l'impronta di un concetto estetico che esclude qualsiasi compiacenza sensuale, di modo che le linee, i colori e le forme nulla hanno di casuale, nulla che non sia il frutto delle sue particolari riflessioni”.
Carrà lo ha descritto come un uomo schivo, timido, isolato anche intellettualmente, ma attento al mondo che lo circondava, alla mutevolezza dell'arte e delle sue molteplici forme espressive (importanti sono gli ultimi scritti per capire le tendenze dell'arte del ventennio). Ma in queste poche righe si trova la conferma di un artista che, per trovare realizzata la propria personalità, ha avuto bisogno di vivere sensazioni intense e di attingere ad altre forti personalità come Boccioni – dal quale ha assimilato la pittura - e di Marinetti, che gli ha aperto la via per riprodurre i rumori e i suoni della modernità, del progresso, della nuova faccia del Novecento.
Diego Collovini