Ricordi di seta, presentato alle stampe nel 1989, è una raccolta di poesie e racconti dedicato alla sua Lugugnana assieme al libro dal titolo “La lunga strada bianca: una comunità di confine tra Veneto e Friuli”. Una riflessione sulla storia, di personaggi, di famiglie patriarcali, che ci riportano ai tempi andati.
È molto interessante che proprio in questo periodo di grande difficoltà del friulano tra il Livenza e il Tagliamento, l’associazione anziani di Lugugnana (APLODV) abbia voluto riscoprire un suo illustre cittadino da poco scomparso alla età di 92 anni, Giosuè Siviero, personalità nota in tutto il Veneto Orientale e buona parte del Friuli.
Nato a Lugugnana, frazione del comune di Portogruaro, la sua famiglia veniva dal Polesine, Siviero era attivo soprattutto come scrittore e comunque impegnato nel mondo associazionistico.
A Siviero piaceva entrare nella ricerca antropologica e storica della gente di Lugugnana, io stesso due anni fa sono andato a trovarlo per avere alcune informazioni dell’occupazione tedesca in paese. Dal colloquio che ho avuto ho immediatamente recepito la sua passione per la storia del suo paese e per la lingua friulana che, piano piano andava e va scomparendo e lui con rammarico me lo fece presente più volte e ricordo benissimo questa frase “si può amare il proprio territorio perdendo la nostra lingua madre? La lingua utilizzata dai nostri antenati nella realtà rurale che ci ha insegnato la laboriosità la cultura e la sua storia?”
Mi ha parlato con immensa soddisfazione del premio che il comune di Portogruaro nel 2019 gli assegnò “IMPRONTE DI VITA” dedicato alle persone che hanno dato prestigio alla comunità non solo di Portogruaro.
Giosuè Siviero con la sua poesia, cerca il recupero letterario del dialetto, e l’esigenza di dar voce ad una esperienza, intima, personale ad affetti e sentimenti il poeta ha vissuto e “pensato” nella sua lingua madre, per l’appunto la lingua friulana presente principalmente nella variazione di San Michele al Tagliamento (VE) e altre località collocate in Friuli come ad esempio Morsano al Tagliamento.
Il nostro poeta dà dignità a un “piccolo mondo” locale che ha bisogno sempre di più di avvicinarsi alla letteratura, che si affermi consapevolmente nei confronti della tradizione “colta” del valore linguistico e letterario del recupero del suo dialetto.
Il valore del dialetto come lingua materna, lingua attraverso la quale Giosuè Siviero cerca di appropriarsi della vita “bella” ispirandosi alla nostalgia del passato. Questo è affermato in modo particolare significativo nella lirica del poeta.
Leggendo l’agile plaquette “RICORDI DI SETA” si può rilevare in essa la funzione che il poeta attribuisce al dialetto e al modo con cui questo ricollega l’individuo alle sue radici friulane, senza dimenticare il Veneto.
La varietà friulana usata dal poeta appare come una “lingua rifugio”, una lingua che è quasi un grido di sofferenza, che introduce metaforicamente lo scheletro di una civiltà ai confini di un Friuli ancora e sempre più lontano e, la nostalgia del poeta per il tempo passato.
Per Giosuè Siviero come per tutti i friulani il dolore e del tutto sobrio, c’è vergogna nel soffrire e se il dolore vince sul riserbo, che gli altri non vedano non capiscono il tempo trascorso.
Giosuè con la propria lirica, ricostruisce un microcosmo culturale, capace di suscitare uno stato d’animo come una pennellata di colore in un inizio d’estate.
La lingua materna che usa per esprimersi il poeta è di per se portatrice di una cultura, di una esperienza antropologica perché usata nelle forme non casuali, ma “progettate” dalla poesia, rispecchia la cultura e l’ambiente a cui il poeta nasce, cioè la società contadina. Così molti poeti del Friuli occidentale come ad es. Natalino Simon di Fratta (Fossalta di Portogruaro), Pasolini in dialetto, D. Maria Turoldo in italiano finiscono per rimpiangere la società contadina: che era dura ripetitiva, ma corale e ritmata dalla natura. Non sembra passare il tempo pur nel mutare delle stagioni, quel mondo contadino ormai resta là immobile, attaccato alla propria terra.
Per Giosuè Siviero la poesia è un viaggio dentro la parlata materna, quasi un percorso nel passato, uno strumento di dialogo con se stesso perché è lì la sua memoria, l’eredità che parte dall’infanzia.
Le parole del dialetto che usa Giosuè Siviero sono vive, sono come pennellate di acquerellista delicato e sensibile; scene che sa rappresentare con pochi tratti essenziali e commossi, facendone scaturire un senso di partecipe umanità.
Nella poesia di Siviero traspare una nostalgia verso i paesaggi primaverili o estivi; non c’è malinconia degli autunni o il grigiore dell’inverno: i fiori stanno sempre per sbocciare, e le messi per maturare. Questi non sono cliché stereotipati, di maniera, bensì immagini che esternano un sentimento dell’animo, un bisogno di ricreare con la poesia quell’età dell’oro della vita che è la giovinezza. Rose bianche e rosse, nei pressi del mulino, rose mature colte per la processione del Corpus Domini.
Tutto gli è amico la luna e, quando emigra, l’amata è lontana, irraggiungibile dal poeta, la luna si sostituisce a lui per fare l’ultima serenata. Siamo alla fine degli anni ’50: la situazione economica generale non è rosea e molti tentano la fortuna emigrando all’estero. Giosuè approda a Sigriswil, nel cantone di Berna. La nostalgia del paese e degli affetti è più forte, e così ritorna a Lugugnana.
La poesia ha decantato in vari modi il rapporto di un figlio con sua madre. Pasolini, Saba, Ungaretti, solo per fare alcuni esempi così anche Giosuè. Per molti poeti dall’antichità ai giorni nostri la figura materna ha costituito un inevitabile specchio in cui guardarsi, in cui essere costretti a fare i conti con le proprie vite. Molti poeti hanno scritto alle proprie madri assenti, lontane o scomparse, perché grazie al distacco della poesia si carica di forza comunicativa. Attraverso il rapporto con la madre parla a se stesso. Ecco come Giosuè cerca di rappresentare questo inesauribile rapporto.
La poesia di Giosuè è un tipo di scrittura che trasmette emozioni. La poesia riflette lo stato d’animo del poeta e l’amore che ha verso la moglie per sempre.
Siviero era chiamato poeta operaio, autentico autodidatta e la poesia ha rappresentato per lui solo un hobby, un modo per trasmettere emozioni, riflessioni, per ricordarci ancora oggi, da dove veniamo lasciandoci in eredità le coordinate per non perdere la strada del nostro avvenire. Ecco perché io credo abbia ottenuto a Roma nell’anno 1987 un importante riconoscimento: il premio internazionale Coppa della popolarità, con super premio selezione europea 1987 per aver saputo mettere in lirica la struggente nostalgia con struggenti immagini del luogo natio e continue evocazioni del fascino della notte.
Lauro Nicodemo
Presidente onorario Fogolâr Furlan “A. Panciera”
(nella foto, da sinistra Angelo Segato, presidente APLODV, Lauro Nicodemo, Antonio Cotugno, Pasquale Stefanello direttivo APLODV)