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Da S.Giovanni a Piazza del Municipio
Un percorso di visita in città

Portogruaro è una città che si lascia percorrere agevolmente a piedi, con le due strade principali che seguono, da nord a sud, il corso del fiume Lemene, che scorre in mezzo. Il borgo S.Giovanni è uno dei più caratteristici della città, ed uno dei più cari alla tradizione religiosa popolare.
Vi si svolge infatti, la prima domenica di ottobre, la festa del Rosario. E' una festa in tono minore, che non ha nulla a che sparire con quelle ben più roboanti che si tengono in città vicine, ma cui i portogruaresi tengono molto, al di là dell'aspetto religioso che culmina con la processione in cui la statua lignea della Madonna in trono col Bambino viene portata a spalla per le vie della città. Le tradizioni vanno rispettate, e a Portogruaro c'è la tradizione, nel giorno del Rosario, di mangiare l'anatra arrosto. e poi nel pomeriggio, nel borgo S. Giovanni, si vanno a gustare le prime caldarroste. E mentre i più piccini tentano la pesca nel "pozzo di S. Patrizio", gli adulti sgranocchiano le castagne arrostite su brace vera, accompagnandole con un bicchiere di ribolla, il vino fresco da poco ammostato. Il nucleo del borgo è la chiesa di S.Giovanni, che risale al 1338. All'interno sulla parete destra un'iscrizione in volgare ricorda come il 11 agosto di quell'anno si cominciassero i lavori di questa chiesa, ad onore della Vergine Maria e dell'evangelista S.Giovanni, per iniziativa di ser Zuane dito Galdiol.
Giovanni Galdiol fece dunque costruire la chiesa e legò ad essa alcune sue proprietà poste a Giussago, alla periferia di Portogruaro, per il funzionamento della stessa. In mancanza di eredi, con testamento del 1 luglio 1345 Zuane Galdiol lasciò al Comune di Portogruaro il giuspatronato su questa chiesa, cioè la facoltà di nominare il sacerdote che vi celebrasse il culto. Circa un secolo più tardi troviamo a S.Giovanni i Domenicani, che provvidero ad ingrandire la chiesa e costruirono anche il convento, quello che, con interventi successivi, è l'attuale Ospedale Vecchio. Al tempo dei Domenicani, che diffusero grandemente la pratica del rosario, la chiesa si chiamava S.Maria della Grazie, e c'era l'usanza di benedire e distribuire le rose nel giorno dell'Ascensione.
Nella seconda metà del '600 Venezia, impegnata in una lotta senza quartiere contro i Turchi, ottenne dalla S. Sede la possibilità di sopprimere alcuni conventi incamerandone i beni. Questa sorte toccò anche al convento di S.Giovanni, poichè il 26 gennaio 1661 il Comune di Portogruaro acquistò dai Procuratori de Supra, per la somma di 800 ducati, il convento stesso.Partiti quindi i domenicani, nel 1672 il comune invita i Padri Serviti, con l'obbligo di impartire lezioni di "grammatica" in scuole pubbliche. I Servi di Maria rimasero in città fino al 1773 allorché, con decreto del Veneto Senato, il convento fu soppresso. La proprietà rimase al comune fino al 1794 quando fu firmato l'atto di permuta tra il comune e la fraterna di S.Tommaso dei Battuti, per cui il convento passò alla fraterna come sede dell'ospedale, e la vecchia sede dell'ospedale, dove adesso c'è il Liceo classico e scientifico "XXV Aprile", passo al Comune.
Attualmente la chiesa di S.Giovanni, inserita nella parrocchia di S.Andrea, è officiata dal cappellano dell'Ospedale.
La chiesa è ad una sola navata, con copertura a capriate. Misura m 21 (escluso il presbiterio) per 10 di larghezza. L'esterno e in mattoni faccia a vista. Il portone sulla facciata è stato abbellito nel 1990 con le figure dei quattro Evangelisti in bronzo, entro una cornice di rame, opera dello scultore Angelo gonnella di S.Stino di Livenza. I riquadri, di 100 x 50 cm, presentano gli evangelisti col proprio simbolo, l'icipit del rispettivo vangelo, e il nome dell'evangelista
in alto. Gli stemmi sono uno del papa Giovanni Paolo II e l'altro del vescovo Abramo Freschi. Il rosone sopra la porta principale è stato aperto nel 1921-22, quando furono chiuse le due finestre. L'interno della chiesa come si presenta oggi risale agli anni 1926-27 quando, per allargare la via Spiga, precendetemente nota col nome di Saccunit o sacconito, vennero demolite le anguste ma ingombranti cappelle aperte sui fianchi della chiesa; vi fu distrutto l'antiestetico soffito, venne decorata la bella travatura, si scrostarono le pareti, rividero la luce medaglioni e ornamenti floreali di buon gusto. gli affreschi ricoperti furono restaurati dal portogruarese Vittorio Filippi sotto la supervisione di Tiburzio Donadon. Ulteriori lavori per il consolidamento delle strutture e il restauro degli affreschi sono stati eseguiti nel 1981-82.
Gli affreschi cinquecenteschi presentano nei riquadri tra gli archi della parete destra, partendo dal fondo della chiesa , le figure di Giacobbe, Davide, Salomone; sulla parete sinistra, sempre partendo dal fondo , le figure di Aggeo, Giovanni Evangelista, il Cristo, S.Paolo e Isaia. Alcune figure, come il profeta Aggeo e il Cristo, sono dovute al restauro del 1926-27. Secondo il rettore della chiesa, don Antonio Clozza, questo restauro ha travisato le figure della parte sinistra, che dovevano essere in realtà, a partire dalla seconda figura, i profeti Daniele, col calice in mano, Ezechiele, Geremia, col bastone in mano, e Isaia, l'unico che si è salvato. Sopra c'è una grande fascia decorata con piante, frutta, uccelli, animali, angeli musicanti, ecc., di grande resa cromatica. Più in alto ancora ci sono sulla parete sinistra i quattro Evangelisti, e su quella destra quattro Dottori della Chiesa: Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio.
Sempre secondo don Antonio il complesso degli affreschi di S.Giovanni è un compendio della vicenda umana e cristiana. I profeti della fascia inferiore e gli evangelisti e i dottori della terza fascia rappresentano la sacra scrittura e la Tradizione della Chiesa. Questi strumenti permettono all'uomo, la cui vicenda del peccato e della redenzione è rappresentata nella fascia mediana, di giungere alla salvezza, raffigurata dal cielo del soffitto, attraverso la mediazione di Cristo, i cui simboli sono presenti nella fascia sottotetto.
Sulla parete destra della chiesa sono collocate tre statue. Mentre quelle di S.Francesco e di S.Antonio , in legno, sono opera di scuola della Val Gardena e risalgono all'inizio del nostro secolo, molto più antica è la statua in marmo della Madonna con Bambino, conosciuta con l'appellativo di Madonna del latte: viene infatti fatta risalire alla prima metà del secolo XIV, quindi contemporaneamente alla chiesa, anche se qualche studioso tende ad posticiparla di un
secolo. la veste della Madonna, che conserva tracce dell'antico colore, è resa con un ampio panneggio, e con morbidezza è trattato l'incarnato del Bambino. La statua è alta circa 150 cm, ed è priva di piedi.
Il soffitto del presbiterio è occupato da un affresco raffigurante il trionfo dell'eucarestia, eseguito dal veneziano Andrea Urbani verso il 1742. Al centro di una finta cupola, resa verosimile da un gioco di illusione ottica, alcuni angeli sostengono l'ostensorio, mentre altri fanno corona, chi reggendo un turibolo da cui si levano dense nubi d'incenso, chi portando i tradizionali simboli eucaristici, cioè grappoli d'uva e spighe di grano.
La pala dell'altar maggiore (290 x 150 cm) rappresenta, partendo da sinistra in basso, i santi Domenico, Stefano, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista, Lorenzo e Tommaso d'Aquino.La tela è firmata a Leandro da Ponte (1557 - 1622), uno dei figli di Jacopo, meglio conosciuto come il Bassano della città che gli diede i natali. La presenza dei santi Domenico e Tommaso, il primo fondatore dell'Ordine, il secondo uno dei più rappresentativi esponenti dello stesso, fa giustamente pensare che la pala sia stata commissionata al Bassano jr. quando i Domenicani reggevano la chiesa.
Sulle pareti del presbiterio sono state recentemente collocat due piccole tele cinquecentesche , appartenenti in origine alla fraterna dei Battuti, una raffigurante S.Tommaso a colloquio col Crocifisso, e l'altra S.Chiara che impugnando l'ostensorio mette in fuga i saraceni che avevano tentato l'assalto al suo monastero. Dietro l'altar maggiore si trova l'organo, di scuola veneta settecentesca, attribuibile a Pietro Nacchini (1694 - 1770) o al suo discepoli Gaetano Callido (1727 - 1813).
Sulla parete sinistra della chiesa si apre la Cappella dell'Addolorata, costituita dai padri Serviti nel 1742, mentre era priore Giovanni Filippo Maria Donadoni. Il soffitto è decorato da un affresco raffigurante l'Assunzione di Maria, attribuito al medesimo Andrea Urbani che ha affrescato anche il soffitto del presbiterio. Sull'altare in marmo, fiancheggiato da due angeli in pietra viva quasi ad altezza naturale, è collocata la statua dell'Addolorata, la cui devozione fu propagata dai Serviti.E' tradizione che nel passato questa statua fosse stata portata in processione in tempo di siccità, per implorare la pioggia.
Le due vetrate della cappella, che raffigurano una la Presentazione di Gesù al tempio e la seconda il Cristo deposto dalla croce, sono state realizzate nel 1938, in occasione di un restauro della cappella stessa.
Dietro l'altare,in una nicchia protetta da un cristallo, la statua lignea del Cristo Morto, coeva la cappella.
Sulla parete sinistra olio su tela del pordenonese Michelangelo Grigoletti (1801 - 1870), dipinto verso il 1840 e raffigurante S.Filomena, il cui sepolcro era stato scoperto nel 1802. la critica, che maggiormente apprezza il Grigoletti come ritrattista sottile e penetrante, ritiene questa sua opera come scopertamente devozionistica, forse per lo sguardo estatico della santa.
Usciti dalla chiesa, quasi dirimpetto si eleva la mole possente del palazzo Scarpa Bonazza, di chiara impronta rinascimentale, impostato su tra grandi archi a tutto sesto.
Subito prima della porta di S.Giovanni, sulla sinistra si nota palazzo Bergamo Pari. Elegante edificio in stile rinascimentale, del secolo XV, con tre grandi arcate a tutto sesto, fa un'impronta spiccamente orizzontale , sottolineata da due marcapiani. Il felice restauro cui è stato sottoposto nei primi anni Ottanta ha rimesso in luce le due finestre centinate del piano nobile, ricomponendo un'armoniosa quadrifora.
Durante la Repubblica Veneta questa era la sede del Fondaco del sale, dove la preziosa merce giungeva dalle saline di Chioggia e da dove veniva smerciata in tutto l'entroterra.E' caratteristica del palazzo la facciata settentrionale, rivolta sulla fossa di S.Giovanni.
Benché murato si scorge benissimo il porticato, cui dovevano attraccare le barche col loro carico di sale.
Nel 1818 Giovanni Bettoni, fratello del celebre tipografo Nicolò, compilò su incarico del Municipio un Elenco delle pitture a fresco esistenti in Portogruaro... Riguardo a questo palazzo così scriveva Bettoni: nella facciata che guarda la fossa pubblica, Curzio a cavallo che si getta nella voragine; in un quadro vicino: Cinegiro che, tagliato le braccia, si attacca con li denti ad una corda per assalire una nave; più sotto: un'Imperatore a cavallo con seguito che guarda una persona uccisa, distesa al suolo, con una Donna genuflessa verso il detto Sovrano. Nel fregio di sopra vi sono varie Deità che presiedono le belle arti, scultura, musica, etc. e dappresso ci è la Fama e la Fortezza, più abbasso una Raffaello con Puttini al naturale, poi un Apollo pastore. Oggi purtroppo è rimasto ben poco di quanto testimoniato all'inizio del sec. XIX. La critica moderna ha Interpretato le "Deità" di cui parla il Bettoni come allegorie delle virtù teologali e cardinali, per cui la lettura che si può dare di ciò che resta degli affreschi è la seguente, partendo da sinistra verso destra: nel fregio sottotetto, la Fama e la Vittoria; La Fortezza e la Carità, la Giustizia (forse), la Prudenza e la Speranza. Sotto le finestre corre un fregio con una Danza di Putti. Negli affreschi corrispondenti al piano nobile si riconoscono ancora Curzio, Cinegiro e alcuni elementi della cosiddetta Fiustizia di Traiano.
Il palazzo, essendo dimora di un pubblico ufficiale della Serenissima Repubblica, sarebbe quindi stato un affrescato con scene mitologiche e allegoriche che dovevano ispirare all'emulazione di elevate virtù civiche.
Anche il prospetto interno del palazzo, che dà sul giardino, era affrescato, e se oggi sono rimaste ben poche tracce, il Bettoni annotava due Fregi in grande lavorati alla Raffaello, con Satiri e Bestie diverse; sopra la canna del camino una figura nuda con due Fasci di Legna legate dal collo, e vicino un finto basso rilievo, ove si vede Endimione che dorme. Al di sotto delle finestre ... un gatto che dorme... L'intero ciclo degli affreschi di palazzo Bergamo pari può essere assegnato a quell'ambito veneto-friulano cinquecentesco che si riconosceva nel Pordenone e
nella sua cerchiala pala dell'altare nel Duomo cittadino, che vedremo più tardi, raffigurante la Vergine coi santi Rocco e Sebastiano, presenta nella parte inferiore una veduta d'insieme della nostra città. Si è discusso a lungo se questa veduta sia uno specchio attendibile della Portogruaro della prima metà del '600, epoca cui risale il dipinto, ma se forse qualche particolare può destare perplessità, si crede che nel suo complesso essa offra una visione abbastanza vicina alla realtà.
La città è contornata in tutto il suo perimetro dalle mura, intervallate da torrette, posti di osservazione, e da cinque porte, che permettevano l'entrata e l'uscita dalla città: S.Agnese, S.Giovanni, S.Gottardo, S.Nicolò, e Palù, le prime tre tuttora esistenti, le ultime due demolite, quella di S.Nicolò nel 1866 e la seconda in epoca imprecisata, anche se successivamente alla fine del sec. XVIII.
La cerchia muraria fu edificata nel sec. XII, e già nel 1254 il patriarca di Aquileia Gregorio di Montelongo ne ordinava il potenziamento e l'ampliamento. Nel corso dei secoli le mura furono sempre oggetto di cure, anche se nel '700 mostravano segni di decadenza, finchè l'ultimo tratto superstite fu abbattuto nel 1911. Ne restano poche tracce vicino alla torre S.Gottardo e vicino alla torre S.Agnese.
La porta di S.Giovanni, costruita alla fine del sec. XII, si chiamava porta "del bando", e poi S.Lazzaro, dall'omonimo ospizio per i lebbrosi che sorgeva non lontano da li. Ristrutturata nel 1555-56 ad opera del podestà Girolamo Zorzi la porta, con la sua bella architettura dove predomina un arco a tutto sesto, perse il suo carattere difensivo per assumere quello di entrata principale alla città per uomini e merci provenienti dal vicino Fondaco. Sopra l'iscrizione, che ricorda appunto l'intervento del podestà Zorzi, si nota il leone marciano in posizione "andante", scalpellato al tempo di Napoleone.
Varcata la porta si entra in via Martini della Libertà, così chiamata nel secondo dopoguerra a ricordo di quanti, nel corso dell'immane conflitto, hanno sacrificato anche la vita per riconquistare la libertà.
Anticamente era chiamata Strada della Mercanzia, perchè via obbligata per le merci da e verso la Germania. nel 1552, mentre era podestà Giorgio Gradenigo, fu lastricata con grosse pietre d'Istria dalla porta S.Giovanni fino alla porta di S.Gottardo, all'estrema opposta.
Usciti dalla porta si possono notare nella casa d'angolo con via Rastrello, attualmente in restauro, due bassorilievi romani, provenienti dalla vicina Concordia.Le due vie laterali che confluiscono a questo punto su via martiri, via Spalti a destra e via Rastrello a sinistra, rievocano nei loro nomi alcuni aspetti della Portogruaro medievale. Se il nome Spalti è intuitivo, ricordando appunto gli spalti, cioè la cinta di difesa che proteggeva la città (gli statuti medievali proibivano di entrare in città scavalcando muri e spalti), rastrello non ricorda quell'atrezzo agricolo che tutti conosciamo, bensì una catena, forse munita di speroni di ferro come un rastrello, che di notte veniva tesa sul fiume Lemene, all'altezza del ponte che è a metà della via, per impedire il passaggio delle barche.
Sotto i portici che fiancheggiano via Martiri su entrambi i lati si aprono quasi ininterrottamente negozi di ogni genere. Quando la strada curva leggermente, si nota sulla destra il classicheggiante edificio Teatro Sociale.
Il più antico documento riguardante gli spettacoli teatrali nella nostra città risale al 23 febbraio 1622, e si tratta di un documento contabile. Sessant'anni dopo un altro documento ci informa che si voleva rappresentare un'opera nel Carnevale per universal trattenimento. Ma dove si tenevano gli spettacoli teatrali nella Portogruaro di quel tempo? Si tenevano nel palazzo del podestà, chiamato anche palazzo pretorio. Evidentemente queste rappresentazioni teatrali si
svolgevano in maniera saltuaria, magari in occasione del Carnevale, fatto sta che le attestazioni sono rimaste poche. Agli inizi del Settecento abbiamo una testimonianza interessante: ci sono giovani cittadini di questa città che rappresentano serie opere che saranno anche di divertimento e sollievo di tutti questi cittadini et abitanti, e decoro pure della medesima città. Verso la metà di quel secolo nel palazzo pretorio si tenevano regolari rappresentazioni teatrali durante il Carnevale, e talvolta anche in autunno. Era stato eretto un palcoscenico ed erano state collocate poltrone per gli spettatori che pagavano un regolare biglietto. Alcuni screzi tra i nobili, per futili motivi, indussero il podestà Pietro marco Zorzi, nel 1787, a revocare il permesso di tenere spettacoli teatrali nel suo palazzo. Forse su questa spinta, forse i tempi erano maturi, si costituì un comitato promotore per la costruzione di un teatro vero e proprio. La mente organizzativa di questo comitato era l'abate Bonaventura Celotti, che dieci anni più tardi, con la venuta dei francesi, sarà a capo della Municipalità provvisoria.Il cavalier Giovanni Maderò. proprietario di un edificio in precaria condizioni, lo mette in vendita. Il contratto tra il Maderò e il comitato, per la cessione dell'edificio, venne stipulatoil 15 marzo 1787 da notaio portogruarese Antonio Spiga. ma su questa proprietà gravano dei canoni, canoni che furono assunti a proprio carico dal Comune di Portogruaro, con deliberazione consiliare del 3 giugno 1787.
I ducati necessari per la costruzione dell'edificio, che prevedeva tre ordini di palchi, ciascuno di 17 palchi escluso il piano terra che ne aveva 16, furono raccolti vendendo i palchi ai soci. I lavoratori, su progetto dell'arch. Medura, iniziarono presto, e le opere murarie erano completate già il 15 settembre 1788. Mancavano però i fondi per la costruzione del palco, dello scenario, ecc., che furono raccolti con una nuova sottoscrizione tra i soci.
Il 2 febbraio 1789, una fredda serata di lunedì, tutto era pronto per la prima rappresentazione: La tragedia urbana di Beverly, un dramma di cui non si ricorda nemmeno l'autore, ma che in quel tempo godeva di un universale favore. Anche Ippolito Nievo, nella sua celebre pagina, parla con la consueta ironia del teatro. Il teatro di Portogruaro, che stava aperto un mese ogni due anni, godeva il raro privilegio di far parlare di se un centinaio di bocche gentili per tutti i ventitre mesi intermedi.
Gli anni passarono e nel 1913-1 il Teatro Sociale fu restaurato e ampliata su progetto dell'ing. Pietro Bon. Per tutta la prima metà del secolo si tennero al Sociale rappresentazioni di opere liriche, che riscuotevano grande successo. Nel 1957 l'edificio fu radicalmente rimaneggiato e rifatto e cinema, e alla fine degli anni Settanta fu ignobilmente rovinato il palcoscenico per far posto ad una sottostante discoteca.
Quasi di fronte al Teatro Sociale, tra la farmacia e un negozio di abbigliamento, si apre via Mazzini, meglio conosciuta come Stretta. Sopra l'arco c'è un iscrizione che ricorda come nel 1558 il podestà Giacomo Grimani abbia fatto allargare a pavimentare in pietra d'Istria questa strada prima stretta (angustum atque invium callem) e sporca. L’iscrizione è affiancata da due stemmi: a destra quello del Comune, a sinistra quello del Potestà Grimani. Passando sotto il portico, dopo una decina di metri, sulla sinistra c'è un'altra lapide che ricorda un personaggio nato in questa casa: Giuseppe Dal Vago, meglio conosciuto come p.Bernardino da Portogruaro, la cui causa di beatificazioni è in avanzata fase istruttoria.
Egli nacque il 15 febbraio 1822. Il padre Antonio, di origine veneziana, era farmacista e teneva bottega nell'attuale farmacia Scarpa. rimasto orfano di entrambi i genitori in giovane età, nel 1829 Giuseppe si trasferì a Venezia in casa dello zio materno Gaspare Barbarigo. Dopo aver frequentato il ginnasio.liceo "Santa Caterina", il 7 novembre 1839 nel convento di S.Michele in isola veste l'abito francescano e prende il nome di p.Bernardino da Portogruaro. il 21 settembre 1844 viene ordinato sacerdote. Dopo aver insegnato ai chierici per dodici anni, nel1855 viene eletto ministro provinciale. Il 19 marzao 1869 viene nominato da pio IX ministro generale dell'Ordine dei frati minori, carica che tenne fino al 1889, quando vi rinunciò per motivi di salute. Durante questi vent'anni, quando in quasi tutti i paesi europei venivano soppressi gli Ordini religiosi, visitò con zelo instancabile tutte le province religiose d'Europa. Fondò il collegio San Bonaventura a Quaracchi, nei pressi di Firenze, promuovendo l'edizione critica delle opere di san Bonaventura. Favorì l'istituzione dell'attuale università pontificia "Antonianum" di Roma. Nel 1892 venne consacrato arcivescovo. il 7 maggio 1895 morì a Quaracchi. Il 13 giugno 1962 la sua salma venne traslata nel santuario di San Francesco del Deserto, nella laguna di Venezia.
L'iscrizione posta sulla casa natale, oggi di proprietà della famiglia Scarpa, recita così: In questa cara // ebbe i natali e visse // una fanciullezza mie e serena // Bernardino da Portogruaro // Generale dei Minori // Arcivescovo si Sardica // gloria purissima della nostra città // poi che l'onore dei veri grandi // ove non sia obliato // è monito perenne a tutti i venturi.
Ritornati verso via Martiri, ci si imbatte nella colonna di S.Marco della meridiana, dall'antico strumento di misurazione del tempo che ancora vi si scorge. La colonna delimita l'angolo meridionale del "listòn" o passeggiata. L'usanza dei portogruaresi, vivissima ancor oggi, di passeggiare sul "listòn", soprattutto nelle ore del tardo pomeriggio, e di unirsi in crocchi per discutere i fatti della vita cittadina e nazionale, è descritta garbatamente anche da Ippolito Nievo nel suo romanzo: su e giù per la podesteria e per la piazza toghe nere d'avvocati, lunghe code di nodari, e riveritissime zimare di patrizi.
La colonna attuale, in marmo rosa di Verona, fu innalzata nel 1929 al posto di quella più antica, risalente probabilmente ai primi temi della dominazione veneziana e abbattuta dai francesi. Nel 1797. Il piedistallo ottagonale voluto dal podestà Giovanni Balbi nel 1598, fungeva da base al pennone dello stendardo in piazza fino all'inizio del secolo, quando fu sostituito da quello attuale in ghisa. Il capitello, con eleganti volute di tipo corinzio, è quello della colonna originale, con gli stemmi di Portogruaro e della Repubblica di Venezia. Il leone alato che sormonta la colonna è opera dello scultore portogruarese Valentino Turchetto (1906 - 1965). La sistemazione generale del "listòn" risale agli anni 1928-29: furono tolte le ringhiere in ferro che delimitavano la cosiddetta "piazzetta S.marco", fu ricollocata la colonna della meridiana e furono messe a dimora le palme. Non si tratta delle più conosciute palme da dattero, che vivono in terra d'Africa, bensì di una specie (Trachycarpus fortunei) originaria delle montagne della Cina Occidentale, donde fu introdotta in Italia nella seconda metà del secolo scorso. Nel 1987 ne sono state collocate a dimora delle altre.

Brano tratto da "Portogruaro" di Roberto Sandron con l'autorizzazione dell'Associazione Pro Loco Portogruaro

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