L’attività artistica di Russolo è stata segnata da interessi molteplici e da passaggi da una particolare arte espressiva ad un’altra: dalla musica alla pittura, di nuovo alla musica, dalla musica alla filosofia e al magico–esoterico, per poi finire, negli ultimi anni, ancora con la pittura. Certamente le due discipline, quella musicale e quella pittorica, non possono essere accostate per univocità di linguaggio o per contenuti, e questo non fa che rafforzare l’ipotesi che in quell’uomo, ancora indeciso che arte seguire, vi fosse una solida convinzione: l’universalità dell’arte, dall’altro però ci mostra un artista che comprese l’importanza della portata innovativa e le possibilità espressive del linguaggio futurista, proprio quello capace di diventare comune a tutte le arti: dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alla musica, dal teatro alla danza, dalla poesia al “rumore”. L’eccleticità creativa di Russolo, evidenziata negli anni del futurismo, ha, per certi versi, dimostrato che una notevole parte della creatività artistica nasceva da un approccio razionale, magari motivato da certezze estetiche e filosofiche, ma anche da un’empirica praticabilità delle arti.
Luigi Carlo Filippo Russolo, che nacque a Portogruaro nel 1885 il primo di maggio, venne dapprima iniziato alla musica, seguendo così una certa tradizione familiare. Suo padre Domenico era infatti organista presso il Duomo di Portogruaro e direttore della Schola Cantorum di Latisana, in provincia di Udine. C’era una forte tradizione musicale nella famiglia Russolo, tanto che i due fratelli maggiori di Luigi, Giovanni e Antonio, si diplomarono al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano rispettivamente in violino ed organo, e pianoforte ed organo. Luigi non seguì, se non più tardi e con musicalità e idee diverse, le orme del padre.
Nel 1901, terminati gli studi ginnasiali, raggiunse la famiglia a Milano, dove di giorno lavorava come apprendista restauratore da Crivelli - col quale mise mano all’Ultima cena di Leonardo - la sera seguiva i corsi all’Accademia di Brera. Qui ebbe modo di stringere amicizia con Carlo Carrà. Più tardi lavorò come bozzettista per costumi teatrali. Frequentava allora il Caffè Sorini dove incontrava giornalmente Balla, Boccioni e Severini, nonché i letterati Armando Mazza, Luciano Folgore e Paolo Buzzi.
La svolta artistica avvenne nel 1909, quando esordì come pittore in una collettiva dal titolo “Bianco e Nero”che fu veramente importante, poiché in quell’occasione Russolo conobbe Umberto Boccioni, la mente più acuta, assieme a quella di Marinetti e di Sant’Elia, di tutto il Futurismo. Con il pittore, Russolo rimase legato da una profonda amicizia, tanto che con lui e Carrà Balla e Severini partecipò alla stesura del Manifesto della Pittura Futurista. Un’arte che si rivolgesse ad un pubblico la cui cultura non fosse la semplice conoscenza dei fenomeni del passato, ma aperto ad ogni possibilità espressiva o a raccogliere tutte le proposte che la scienza andava proponendo ed approfondendo. Russolo, seguendo individualmente le indicazioni tracciate dal Manifesto elaborò alcune opere di tale contenuto: Sintesi plastica dei movimenti di una donna, Volumi dinamici, Treno in corsa nella notte, Automobile in corsa, Linee-forza della folgore.
Un quadro non doveva proporsi come pura rappresentazione del reale, ma raccogliere l’essenza della molteplicità delle cose che contemporaneamente accadono. “Per dipingere una figura non bisogna farla: bisogna farne l’atmosfera....” (Manifesto Tecnico della Pittura Futurista)..
Nonostante che le poche opere futuriste di Russolo non fossero così intense e portatrici di nuovi motivi espressivi, di certo il pittore risentì fortemente delle problematiche e discussioni estetico-filosofiche attorno alla pittura. Certo a lui va dato il merito di essersi proposto più come una sorta di coscienza critica nei confronti dei suoi compagni, che come puro pittore, nelle cui vesti ci appare poco originale, spesso legato ad un’idea di pittura che apparteneva ad altri. Se infatti leggiamo i quadri futuristi di Russolo, difficilmente in essi possiamo cogliere degli elementi di novità o anche di semplice innovazione tecnica. È possibile però notare come l’artista allora riuscisse a manifestare una buona dose di ingenuità e ciò perché le sue stesse opere vennero giudicate da molti come delle semplici, a volte impersonali, interpretazioni dei dettami del Manifesto Futurista.
Alla sua non eccelsa tecnica sopperì con alcune operazioni pittoriche fantasiose o di ricerca. Fu per molti, soprattutto nel primo periodo milanese, una mente fortemente propulsiva e comunque indirizzata verso nuovi e, a volte, originali orizzonti, come quelli musicali. Purtroppo le intuizioni estetiche più significative, in particolare in pittura, vennero interpretate dalla genialità di Boccioni e da altri pittori più navigati come Giacomo Balla o più disponibili al cambiamento o a nuovi richiami come Carrà. La gamma produttiva del portogruarese, in quel periodo, apparve molto simile a quella dello stesso Boccioni.
Nel 1911, la Casa del Lavoro di Milano organizzò, presso il salone Ricordi di Viale Vittoria 21, la 1a Esposizione d’Arte Libera. Esposero tutti i pittori firmatari del Manifesto della pittura futurista. Le reazioni della stampa furono decisamente violente. Un quadro di Boccioni, la Risata fu addirittura sfregiato. Ardengo Soffici stroncò, con parole dure, la mostra. L’animo focoso, violento e rissoso dei futuristi milanesi ebbe il sopravvento. Scesero a Firenze ed ingaggiarono una rissa con i vociani, i quali, non da meno dei rivali milanesi, non ebbero altra reazione che salire a Milano per ricambiare l’aggressione. L’immagine di quello che era l’ambiente intellettuale e sociale dell’epoca veniva puntualmente riassunta nelle manifestazioni futuriste. La necessità della provocazione, sia fisica che intellettuale, mosse gran parte della creatività degli intellettuali di allora. Russolo si sentì veramente futurista.
Luigi Russolo fu spesso difeso e spiegato al grande pubblico, da Marinetti stesso, col quale ebbe un rapporto di stima reciproca, tanto che partecipò a tutte le mostre di pittura promosse da Marinetti in Europa. In quell’anno vennero organizzate le mostre alla Galleria Riesing dell’Aja, alla Gallerie Bernheim Jeune di Parigi, Sakville Galerie di Londra, alla galleria Der Sturm di Berlino, alla Galerie Giroux di Bruxelles e infine alla Galerie Andretsche di Amsterdam.
Nel 1913 l’artista portogruarese iniziò la collaborazione con la rivista Lacerba, fondata poco prima, il primo aprile dello stesso anno. Russolo pubblicò articoli di musica, disciplina verso la quale, proprio in quegli anni, cominciò a trovare nuove ispirazioni e verso cui mosse le sue proposte espressive. Iniziarono allora le prime riflessioni sulla musica senza melodia e sugli Intonarumori.
Pochi giorni prima della fondazione della rivista fiorentina, Russolo scrisse a Pratella la famosa lettera-manifesto L’arte degli Intonarumori. Questo segnò l’abbandono dell’attività pittorica. L’artista incentrò il suo interesse verso la musica, che da allora occupò la maggior parte del suo tempo. Russolo intuì che altre vie potevano essere seguite per raccogliere e descrivere le sensazioni che l’artista provava ogniqualvolta entrava a contatto con la realtà dinamica, rumorosa della società contemporanea. Forse i ricordi giovanili, forse un neoinnamoramento per la musica, lo spinsero a ricercare una precisa dimensione all’idea di simultaneità. Un’idea che da tempo cercava di materializzare in pittura. La musica, che già allora presagiva il grande talento di Schömberg (che dopo il ‘15 elaborò un sistema musicale dodecafonico), poteva prestarsi, se interpretata con gli schemi e i principi del futurismo, a rappresentare quell’articolato evento visivo e sonoro, che va sotto il nome di simultaneità. Bisognava però creare degli appositi strumenti, capaci di riprodurre suoni e rumori spesso fastidiosi e a volte intensi, che comunque non rimandassero a sensazioni melodiche, o a visioni emblematiche, ma che fossero invece in grado di produrre immediate sensazioni quotidiane come la vitalità improvvisa i suoni del movimento.
Balilla Pratella, come del resto la maggior parte degli artisti futuristi, fu ammaliato da Marinetti, che conobbe dopo un suo concerto, nel 1910, presso il teatro comunale di Imola. Pratella allora aderì entusiasticamente al movimento marinettiano e contribuì con diversi scritti: Manifesto dei Musicisti futuristi, (10 ottobre del 1910), Musica futurista e Manifesto Tecnico (11 marzo 1911) e la Distruzione della quadratura (18 luglio 1912). Quest’ultimo articolo si rivelò veramente interessante, poiché invitava i compositori ad uscire dai canoni dell’armonia classica.
La collaborazione tra Pratella e Russolo durò dal 12 giugno del 1913 al 12 maggio del 1914, periodo nel quale il romagnolo compose l’opera L’Aviatore Dro. In quest’opera vennero usati, per la prima volta, gli intonarumori di Russolo.
. L’11 agosto Russolo, a casa di Marinetti - la Casa Rossa in Corso Venezia a Milano - presentò alla stampa di tutto il mondo ben undici tipi di intonarumori. Fu certamente un successo non solo per la stranezza dello strumento stesso, ma anche perché molti intonarumori furono definiti opere d’avanguardia, vennero infatti esposti alle grandi Esposizioni Internazionali di Berlino e di Chicago.
L’intonarumori divenne una parte essenziale della poetica futurista se non altro per la proprietà che questi avevano di creare dei rumori che ben si accompagnavano alle parole in libertà. L’uscita dal pentagramma fu certamente ben “interpretato” da queste macchine, che, nel 1921, raggiunsero il numero di 27. I nomi assunti da ognuno di queste casse furono diversi, in quanto si ispirarono al tipo di suono emesso: rombatori, gorgogliatori, ronzatori, stropicciatori, crepitatori, sibilatori ululatori, scoppiatori, ecc.
Gli intonarumori avevano la forma di una scatola che variava di grandezza a seconda del rumore procurato, poiché di diversa grandezza erano i meccanismi interni che producevano il rumore. Una tromba-megafono attaccata ad un lato amplificava il rumore, che veniva prodotto da una manovella. Questa manovella faceva muovere degli ingranaggi. La parte superiore invece era occupata da una leva che metteva in movimento degli estensori e delle frizioni, cioè i meccanismi che alzavano i rumori di un tono, o di un semitono, o che variavano il suono di frazioni di tono, alcuni lo estendevano di un’ottava, altri invece emettevano lo stesso rumore, ma ad altezze tonali diverse: basso, medio e acuto.
Il 21 aprile 1914 Russolo diresse, al teatro Dal Verne in Milano, il suo Primo Concerto Futurista per Intonarumori. Fu un’esperienza veramente intensa per l’artista, in quanto i “rumori” più forti non vennero emessi dagli strumenti dell’artista portogruarese, ma dalla folla che insorse in modo decisamente violento, tanto da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Alla fine del concerto i sostenitori del gruppo futurista si rifugiarono all’interno del caffè Biffi in Galleria. La polemica ebbe una coda decisamente animata e spesso violenta. Russolo, sentendosi colpito direttamente nel proprio orgoglio non disdegnò di assumere un comportamento da futurista, decisamente futurista. Attese il critico musicale on. Cameroni ed in pubblico lo schiaffeggiò, ritenendolo colpevole dell’atteggiamento ostile verso il suo concerto. La denuncia da parte del Cameroni si concluse nell’ottobre dello stesso anno. Russolo fu condannato ad una pena pecuniaria con il beneficio della non iscrizione.
La foga era tanta e la certezza della validità del nuovo mezzo espressivo portò il pittore a riproporre il suo concerto nel maggio, il 20, dello stesso anno al Politeama di Genova, poi al Coliseum di Londra, dove venne replicato per dodici volte, proprio nel periodo in cui erano esposte in mostra le opere dei pittori futuristi presso la Galleria Doré. Era quello il periodo in cui i futuristi si mostravano un gruppo unico, pronto a rispondere collettivamente alle provocazioni, ma anche compatto nelle scelte sociali e politiche. Le critiche piovevano un po’ dappertutto, la scena si stava allargando per diventare internazionale. E come si doveva rispondere alle idee contenute nei vari manifesti si doveva rispondere anche a quella guerra come sola igiene del mondo. Nel settembre del 1914 ebbero inizio un po’ in tutta Italia le manifestazioni interventiste. I futuristi avevano preso posizione. Era giunto il momento per far conoscere al mondo le esigenze politico-risorgimentali dell’Italia, ma anche di ribadire il primato degli italiani espresso nel mondo dell’arte, proprio attraverso il Futurismo. Ecco che tutto il gruppo futurista prese parte alle manifestazioni interventiste, ed una in particolare costò a Russolo, e ad alcuni suoi amici, cinque giorni di carcere a San Vittore.
L’anno seguente si trasformò in un appuntamento importante. Stravinskij e Diaghilev erano a Milano, nei primi mesi del 1914, per ascoltare il concerto per intonarumori. Per gli illustri ospiti Marinetti organizzò a casa sua una audizione anticipata e riservata. Invito che lo stesso Stravinskij accettò volentieri, poiché era mosso da un certo interesse per la possibilità di utilizzare gli intonarumori in uno dei suoi concerti. Francesco Cangiullo descrisse con dovizia di particolari quella serata. “Un crepitatore crepitò con mille scintille, come focoso torrente. Stravinskij schizzò emettendo un sibilo di pazza gioia, scattò dal divano da cui sembrò scattasse una molla. In quella un frusciatore frusciò come gonne di seta d’inverno, come foglie novelle d’aprile ... Il compositore frenetico si avventò sul piano per cercare di trovare quell’onomatopeico suono prodigioso, ma invano provò tutti i semitoni con le sue dita avide, mentre il ballerino [Massine] muoveva le gambe del mestiere... Diaghilev faceva: Ah-ah-ah-ah, come una quaglia. Era quella l’espressione più alta della sua approvazione. Il ballerino muovendo le gambe voleva significare che la strana sinfonia era ballabile ... Al che Marinetti ... era felice ... chiamò per tutti té, paste e liquori. Boccioni diceva sottovoce a Carrà ‘Gli ospiti sono fregati’. L’unico che non si commosse era proprio l’inventore; si maneggiava il pizzetto ed obiettava: ‘Sìii ... potrebbero anche andare ... ma dovranno essere altro che modificati’ ... Allora il poeta lombardo [Buzzi] disse a voce alta: ‘Mi son del suo parer..’ E Piatti, che sapeva la sonata: ‘Perbacco! Bisogna farli da capo!’. Dopo il té, Stravinskij e quel canuto pianista diciannovenne eseguirono a quattro mani ‘L’Oiseau de feu’ Pratella ... aveva dormito fino ad allora”. (Le serate futuriste: romanzo storico vissuto).
Sperò molto in quell’incontro. Stravinskij gli avrebbe potuto cambiare la vita. Ma ciò non accadde. I concerti per intonarumori continuarono. Il 21 aprile del 1914 durante una serata futurista, al teatro Dal Verme di Milano furono eseguiti tre pezzi: Risveglio di una città. Si pranza sulla terrazza del Kursaal, Convegno di automobili e aeroplani.
Nel fatidico 1915 l’impegno con la storia venne mantenuto. Russolo, con i suoi amici futuristi - Funi, Boccioni, Sant’Elia, Sironi - fu incorporato al Battaglione Volontari Ciclisti Lombardi. Partì per il fronte e il 10 Novembre del 1915, ricevette i galloni di Tenente al merito presso il Vo Battaglione Alpini del Brenta.
L’anno seguente fu veramente tragico per il gruppo dei futuristi. I due artisti più geniali, Boccioni e Sant’Elia morirono, uno per una caduta a cavallo e l’altro in combattimento. Per Russolo quell’anno fu invece importante: venne pubblicato il volume L’arte dei Rumori, che diventò il più importante testo teorico proteso al rinnovamento dell’arte della musica.
Ma la felicità durò ben poco: l’anno seguente a causa di una terribile ferita alla testa, provocatasi in combattimento sul Grappa, Russolo vagabondò per diversi ospedali militari. Da Napoli a Genova, a Milano. Il suo corretto, se non eroico, comportamento militare, gli fece avere una medaglia d’argento al Valor Militare.
L’attività artistica di Russolo subì di conseguenza una drastica frenata. E ciò non solamente per la ferita, ma anche perché perse il contatto con molti dei suoi amici, in particolare con Boccioni al quale era molto legato. Il suo lavoro però non venne meno. Nel marzo del 1920 Russolo partecipò ad una collettiva a Milano alla Galleria Arte, dove espose il Ritratto della Moglie. Assieme alle sue opere c’erano quelle di Sironi, Funi e Dudreville. Un’esperienza particolare che nasceva da un’altra storia, da un altro Manifesto. L’11 gennaio del ‘20 Dudreville, Funi, Russolo e Sironi sottoscrissero il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura. .
Russolo comprese che del gruppo futurista rimanevano solamente le opere, gestite con mostre, convegni, conferenze dal solo Marinetti. I compagni di strada o non c’erano più - Boccioni - o avevano completamente cambiato direzione. Carrà, che ebbe parole dure nei confronti di molti ex compagni futuristi (ma anche dei nuovi), sentì la necessità di rivedere la sua pittura. Già nella Parlata su Giotto (marzo del ‘16) espresse la necessità di abbandonare “i vorticismi, la velocità per isolarmi in una ricerca di emozioni”. Il silenzio, la staticità, l’opacità della scena, i colori calmi e riposanti, la contemplazione, divennero i temi della nuova pittura del milanese.
L’anno seguente nel 1921 lo vide esporre a Parigi assieme agli altri futuristi. Questa mostra fu particolarmente importante, poiché permise all’artista portogruarese di riprendere contatti con un mondo culturalmente vivo e stimolante. Da più di otto anni la sua creatività veniva indirizzata verso la musica. Ed il suo rientro parigino in qualità di musicista fu veramente trionfante. Stravinskij, Ravel, Diaghilev, De Falla assieme gruppo dei dadaisti di Tristan Tzara, assistettero al Théatre des Champs Elisée di Parigi al primo dei tre concerti degli intonarumori. L’orchestra era diretta dal fratello di Luigi, Antonio. Al successo della manifestazione contribuì anche Piet Mondrian che nella rivista Der Stijl ne parlò positivamente, raccogliendo finemente ciò che di innovativo si trovava in quel tipo di espressione. La vena inventiva e pratica di Russolo non perse di creatività. L’artista lavorò molto, tanto che nel ‘23 realizzò il Rumorarmonio, che consisteva in uno strumento nel quale erano riassunte un po’ tutte le caratteristiche dei vecchi intonarumori.
L’anno seguente la ricerca lo indusse a realizzare e brevettare l’Arco Enarmonico; uno strumento molto simile al Rumorarmonio, ma che aveva un vantaggio, quello cioè di semplificare l’uso delle dita per creare i suoni. Lo strumento venne presentato al pubblico nella sala degli affreschi dell’Umanitaria a Milano nel 1925.
Nel 1926 sposa la maestra elementare Maria Zanovello. Il ‘26 fu anche l’anno di un relativo e breve ritorno alla pittura. Partecipò infatti alla mostra che preludeva al Novecento. Assente alla prima mostra del gruppo alla Biennale di Venezia del 1924. Presente però alla seguente, sempre promossa dalla veneziana Sarfatti, che si tenne presso la galleria Pesaro in via Manzoni a Milano. Alla mostra partecipò, in via personale, Benito Mussolini che non disdegnò di esprimere un suo giudizio, anche se vago - fu comunque riportato dal Popolo d’Italia - sulla manifestazione. “Le opere di Russolo, che contraddistinsero questo periodo, furono di tipo simbolico-visionario come l’Autoritratto con teschi o di tipo post-futurista, come il significativo “Impressioni di un bombardamento”, esposto alla XV Biennale di Venezia, ora di proprietà del Comune di Portogruaro. Russolo allora visse certamente una contraddizione o un dilemma nei confronti dell’arte e della pittura. Dopo aver partecipato alla stesura del manifesto Contro ogni ritorno in pittura venne invitato ad esporre assieme al gruppo futurista alla Biennale del 1926 c’erano Balla, Boccioni, Depero, Prampolini. Presentò lo stesso Marinetti. In concomitanza si tenne a Ca’ Pesaro un’esposizione di futuristi veneziani: Mostra autonoma del movimento futurista veneziano. Tra i quali Francesco Korompay e Tomaso Albano Lucy.
L’anno seguente ottenne significativi riconoscimenti a livello europeo per la sua attività di musicista. Si spostò a Parigi per partecipare agli spettacoli della Pantomima futurista presso il Thèatre de la Madeleine. Nello stesso periodo tenne un concerto con gli intonarumori alla Societé Internationale de la Musique alla Sorbonne.
Nel 1928 Parigi lo ospitò per tre anni, fino al ’31. Qui lavorò con entusiasmo, anche sulle ali delle esperienze avute in passato con il gruppo futurista. Ma i maggiori riconoscimenti li ebbe sempre in campo musicale. L’attenzione mostrata da Stravinskij per le sue ricerche gli fece ottenere scritture per musiche da film. Lavorò in quegli anni per la Fox Mowietone. Ma l’energia maggiore era indirizzata all’elaborazione e al perfezionamento delle macchine intonarumori, in particolare del suo Rumorarmonio.
Nel 1929 presso la Galleria 23 sempre a Parigi venne organizzata una mostra futurista, Russolo vi partecipò, proponendo anche un concerto, assieme a Boccioni, Balla, Prampolini, Depero, Maraschi, Dottori, Fillia, Pozzo, Ciacelli, Dialgherhoff, Munari, Sant’Elia e Sartoris. La mostra venne introdotta dallo stesso Marinetti, appena divenuto accademico d’Italia, con un discorso tendente all’esaltazione delle esperienze futuriste e all’universalità del movimento italiano allora copiato in buona parte del mondo. Russolo, presentato da Edgar Varése, diresse un concerto musicale futurista. Varése rimase particolarmente colpito dalla ricerca di Russolo, tanto che importò in America alcuni intonarumori con l’intento perfezionarli o di poterli adattare ad altre composizioni.
Però Russolo rimase complessivamente deluso del soggiorno parigino. In città non vi era più il fermento che aveva conosciuto vent’anni prima. E se le proposte dadaiste erano molto vicine alle sue ricerche, si sentì particolarmente insoddisfatto del suo lavoro. Non tanto verso quello artistico-creativo, quanto piuttosto verso il suo essere inventore, tanto che ritenne inopportuno, nel ’31, continuare le sue ricerche sugli intonarumori. Ottenne il brevetto di un piano armonico, uno strumento che produceva la vibrazione longitudinale delle corde. Contava di sfruttare l’invenzione a livello industriale, ma nessuna azienda era interessata alla costruzione e vendita di quegli strumenti. Tale sconforto era anche l’argomento della corrispondenza con alla moglie rimasta in Italia. La conseguenza fu l’ennesima interruzione delle sue ricerche e dell’interesse per la musica. Pareva, come del resto ebbe a dire in alcune lettere, che fosse risbocciato l’amore per la pittura. Scrisse alla moglie dicendo di aver ripreso a dipingere, ma delle opere realizzate in quegli anni non rimase traccia. Alle mostre cui era invitato in quegli anni espose opere vecchie, ad alcune venne cambiato titolo, magari per renderlo più vicino alle sue concezioni dell’arte di quel momento.
Il passo dalla parapsicologia alla filosofia fu breve. Nel 1934, presso la sua nuova casa a Cerro di Laveno sul Lago Maggiore, iniziò la scrittura di un saggio filosofico, molto probabilmente con lo scopo di dare consistenza teoretica alle sue idee sul paranormale. La vita nella nuova casa sul lago passò tra riflessioni filosofiche, esercizi yoga, letture e pubblicazioni di vario genere, dalla pittura, all’architettura, al paranormale. Ma quella vita contribuì anche a isolarlo dal mondo. La conseguenza fu che buona parte del mondo artistico si domenticò di lui.
La sua uscita di scena dal palcoscenico della pittura è stata dunque silenziosa e senza polemiche con il passato futurista. Non abbiamo conoscenza di abiure o di netti e decisi rifiuti della pittura del passato, anzi il suo atteggiamento riservato e spesso contro corrente, lo portò a seguire delle strade in forma autonoma, ma non priva di molti dubbi sul presente. Russolo era debitore delle sue fortune - almeno quelle futuriste - al gruppo, nel quale certamente ebbe modo di operare con una certa coscienza ed insistenza critica, mosso più da un “dover fare” che di un “dover inventare”, come per altro accadde a molti dei suoi compagni futuristi. Visse quasi isolato a Laveno, ma con un occhio attento al mondo dell’arte e della pittura in particolare. Di questo suo esilio Carrà scrisse: “Per lui, come per ogni vero artista, la pittura non è mai stata momento da spendere alla giornata. Ritiratosi sul Lago Maggiore il rigore morale si è forse anche accentuato, e ciò si arguisce osservando le opere di questi ultimi anni, dove ogni traccia di aprioristico tendenzioso modernismo è completamente scomparso. Guidato da una forte coscienza morale, cerca anzitutto di conferire alla sua pittura l’impronta di un concetto estetico che esclude qualsiasi compiacenza sensuale, di modo che le linee, i colori e le forme nulla hanno di casuale, nulla che non sia il frutto delle sue particolari riflessioni”. Un preludio per un ritorno alla pittura carico di complessità e ricco di osservazioni sul presente, ma anche fortemente stimolato dalle riflessioni, cui accenna Carrà. L’io, l’interiorità dell’animo, il sogno, la meditazione e la natura, quella stessa che un tempo voleva vinta dalla velocità e dal meccanicismo futurista, diventarono oggetto della sua ricerca pittorica. Russolo in questa sua solitaria esperienza ebbe modo di porsi individualmente e problematicamente nei confronti dell’arte, considerando, alla luce delle nuove esperienze artistiche italiane maturate nei quindici prima, l’arte come uno strumento non più adatto a stupire, non più necessario a cambiare il “gusto”, ma disposto ad entrare in un mondo riservato che si lascia ritrarre dal colore, dalla forma, dalla visone. Questa nuova scelta appare contemporaneamente una rinuncia alla necessità - tutta futurista - di vivere al passo dei tempi e del progresso. In quegli anni si insinuò in lui l’idea di una pittura quasi d’atmosfera, tutta tesa a raccogliere l’intimo, la sensazione individuale, il sentimento, ma anche l’angoscia, la solitudine, il dialogo con se stessi..
Il 1942 segnò il suo ritorno alla pittura, in particolare dopo un’assidua frequentazione del pittore bulgaro Gheoghied Boris, di cui si sa poco, ma di sicuro questi provocò nell’artista italiano un nuovo interesse, un’intensa sollecitazione per affrontare ancora una volta tele e pennelli. Un ritorno alla pittura purtroppo passato inosservato da buona parte della critica contemporanea, ma che ci presenta un artista attento ai risultati della ricerca pittorica degli anni precedenti. Non innescò polemiche, né emise giudizi categorici o roboanti nei confronti della nuova pittura. Mostrò, nei suoi scritti, di non voler dipingere solamente perché sapeva disegnare o perché era stato un pittore, ma volle dare a molte delle sue opre un contenuto critico ed estetico. Pur relegato a Cerro e poco presente nel mondo artistico milanese, mantenne una viva attenzione per ciò che accadeva. In diverse occasioni tenne delle conferenze, l’ultima su Sant’Elia e sull’architettura moderna. Ma il suo isolamento non fu così grave come possiamo credere. Buzzi ricordò che “A Como in occasione della sua prima mostra personale, nel febbraio 1944, fu festeggiato da una grande accolta di artisti, fu invitato a tenere più di una conferenza sull’arte, fu chiamato ‘maestro’ e per conferirgli la loro ammirazione offrirono un banchetto d’onore a lui e alla sua compagna. Facevano corona i più bei nomi dell’arte contemporanea”.
Dal 1942 fino alla morte, nel ’47 produsse come non mai. Più di cento sono le opere realizzate in quei cinque anni (contro le sole tredici da futurista) e molte di queste sembrano rifarsi ad alcuni temi già affrontati nel periodo cosiddetto pre-futurista, come a sottolineare da un lato la validità autonoma e d’avanguardia del futurismo, e dall’altro che quell’esperienza era definitivamente finita. Quasi a voler separare la complessità di un movimento il cui linguaggio coinvolgeva tutte le arti - per altro la sola arte contemporanea propriamente italiana conosciuta allora nel mondo - da un’esperienza spesso limitata alla sola arte figurativa.
Le polemiche che seguirono la fine del fascismo e delle sue ideologie, coinvolsero inesorabilmente il mondo dell’arte. Artisti di un certo rilievo vennero appositamente dimenticati (Sironi fra tutti), in particolare tutti quelli che ebbero a che fare con l’ideologia ed il governo fascista. Il futurismo, almeno nella persona di Marinetti, fu molto vicino al regime, e chi indossava ancora le vesti futuriste o non le avevano mai tolte, come nel caso di Russolo, venne travolto da quel poco spontaneo oblio.
Il 4 febbraio del 1947, dopo tre giorni di come a seguito di un’embolia che gli paralizzò la parte sinistra, morì. Venne sepolto a Laveno.
Diego Collovini