Un raggio di luna inonda di luce una povera casa alla periferia di New York negli anni Quaranta, ricordando, ad uno spettatore attento, la Vocazione di San Matteo di Caravaggio, in cui la luce squarcia prepotentemente le tenebre illuminando il volto del protagonista chiamato alla sequela di Cristo. In quella luce dimora la speranza di un cambiamento di vita, forse lo stesso desiderato e sognato da tutti i protagonisti di quest’ opera teatrale. Un matrimonio in crisi, una madre che sogna di fare la ballerina, e trovare il vero amore, un figlio che si ribella all’oppressione famigliare comportandosi da bullo e incendiando le macchine, un secondo che vorrebbe fare il prestigiatore e, pur avendo una tremenda paura del pubblico e di se stesso, continua ad esercitarsi in giochi di prestigio, facendo galleggiare nel buio della sua stanza una lampadina illuminata, un marito che vive di scommesse e lotterie immaginando di fuggire con la sua amante verso una vita migliore e un impresario teatrale che spera di giungere ad un miglioramento professionale servendosi del “talento” del timido e impacciato prestigiatore. Con sconsolata ironia e grande delicatezza, Allen racconta questa continua tensione tra ciò che i protagonisti sono è e ciò che vorrebbero essere, la quale porta inesorabilmente al fallimento di qualsiasi aspirazione (compresa quella del figlio che vuole entrare nel mondo dello spettacolo). A conclusione della vicenda solo la madre ha il coraggio di compiere una scelta definitiva e, credendo di essere amata dall’impresario cialtrone, trova il coraggio di cacciare di casa il marito. Nell’oscurità resta soltanto quella lampadina che, illuminata da chissà quale energia, fluttua come i protagonisti intrappolati, senza via d’uscita, nei loro sogni e nel loro dramma umano. Una pièce teatrale, degna di uno dei più grandi registi italiani per la prosa, dalla drammaturgia complessa, simile, per certi versi, al teatro dell’assurdo e caratterizzata da personaggi dai contorni ben delineati e una recitazione armonica ed equilibrata, senza eccessi, capace di commuovere il pubblico e adatta alla versatilità di un’attrice come Mariangela D’Abbraccio. Se nel primo atto la commistione tra elementi realistici e grotteschi caratteristici della personalità di Woody Allen, sembrava aver, per così dire, spiazzato il pubblico, nel secondo atto la risoluzione, seppur drammatica della vicenda, ha riportato l’opera al suo equilibrio e il pubblico in sala ha applaudito con entusiasmo.
Elena Toffoletto