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Annotazioni
Il dialetto è uno strumento, quando non serve muore
30-12-2011

Il dialetto fiorentino è diventato una lingua quando per leggere Dante, Boccaccio e Petrarca si dovette imparare l’italiano che cominciò a superare un po’ alla volta i confini dei vari Stati in cui era divisa la penisola. Il discorso naturalmente è più complesso, ma questo è in sostanza il punto di partenza per affrontare il problema gergo-dialetto-lingua.

Se il Friuli, oltre a Pasolini avesse potuto disporre di altri scrittori alla stregua dei tre grandi toscani, probabilmente il dialetto o meglio i dialetti friulani sarebbero diventati una lingua, anzi: la lingua. Obbligatoria e capace di espandersi al di là dei confini dei piccoli stati, appunto per poter leggere le grandi opere dei Friulani. Patetici quando pretendono che il dialetto friulano diventi insegnamento obbligatorio a scuola e sia usato come strumento di dialogo alla Televisione. Amore per la tradizione? E’ un fatto positivo che non appartiene soltanto al Dna del Friùl. Patetici quando si vorrebbe imporre come strumento ai bambini che non hanno più i nonni che lo parlano; che guardano per ore la televisione dove l’ital-romanesco è ormai diventata la lingua ufficiale. E poi quale dialetto friulano sarebbe il “primo”, l’unificante, con una precisa grammatica, sintassi e lessico? Quello di San Daniele del Friuli ? Apriti cielo, il dissenso sarebbe totale. E poi prendiamo atto che i “dialetti” friulani sono centinaia. Le varianti un numero infinito. Succede normalmente che in un paese di due/tre mila abitanti i dialetti siano quattro/cinque. E così dicasi per il dialetto “venezian” che era una lingua quando la Serenissima era un impero e gli ambasciatori relazionavano il Doge in dialetto non veneto, che riguardava il retroterra, ma in “venezian”. “Panta rei”. Tutto scorre. Gli stessi dialetti, come del resto la lingua italiana, svaporano nel tempo, si italianizzano, tendono a scomparire. La lingua italiana, per fortuna, ha assorbito molte espressioni dialettali stupende, salvandole dall’oblio.

Che farne allora del dialetto? Usarlo specialmente in famiglia, fino a quando ciò avviene. E poi? Secondo molti studiosi i dialetti sono diventati oggetto amoroso di studio degli intellettuali. E’ doveroso “salvare” un dialetto, siciliano, napoletano, romano, milanese, veneto, friulano etc. in vocabolari, grammatiche, antologie, poesie. A Portogruaro il dott. Antonio Lazzàro, a suo tempo presidente del distretto scolastico n. 19 e il prof. Gianfranco Costini presidente del Covenor, avevano iniziato un lavoro di ricerca e di conservazione anche del dialetto per “valorizzare e promuovere l’attenzione alla raccolta di testimonianze e di documenti della cultura popolare, oltre che di parlato volgare”. Purtroppo rimase un’esperienza unica. Ci piace riportare un breve ricordo del comm. Sante Querin, una figura storica del Novecento che parla del “Liston”.

“Il Liston: praticamente nei tempi passati era quel piccolo percorso che praticamente – sa dov’è il negozio di Iberati fino al Duomo? – quel tratto lì è il Liston. Ma lì, una volta, c’erano anche degli alberi, ma anche, mi pare, una balaustra, una ringhiera, perché in quel Liston camminavano praticamente altro che i siori, i ricchi”. Negli anni ’50 un dialetto friulano snaturato da intonazioni di lingua italiana era parlato nella periferia di Portogruaro, nelle frazioni di Giussago, Lugugnana, Portovecchio, ma anche al centro della friulana Latisana che lasciava il dialetto friulano al contado. Erano le cosiddette “lingue tagliate” presenti pure a Concordia, Gruaro, San Michele al Tagliamento, Fossalta di Portogruaro, zone di confine con il Friuli occidentale. Nel 1975 feci pubblicare nella tipografia del Covenor un testo del poeta friulano Nelso Tracanelli di San Giorgio al Tagliamento. Le facevo leggere in classe da scolari di Lugugnana che conoscevano il dialetto friulano; poi ogni anno sempre meno. Non c’erano più le nonne, avanzava la televisione, la stessa scuola li spronava verso l’italiano. Inutile piangersi sopra: l’auto ha sostituito il calesse con il cavallo.

Il dialetto non è più uno strumento, è diventato prezioso oggetto di ricerca per specialisti. Era la lingua dei poveri, oggi è una lingua per intellettuali, per leggere Pasolini, Tracanelli e molti altri poeti del Friuli, un “continente” meraviglioso dove gli itinerari nievani, superano il Tagliamento per scoprire il Portogruarese. E Carlino infatti finisce a Teglio Veneto, per studiare i “latinucci” da un severo parroco di campagna o cammina e cammina oltre Lugugnana e da un terrapieno scorge un’immensa distesa d’acqua, una laguna che Carlino confonde con il mare. “Par esi” è intitolato il libro di Tracanelli, “Per essere”: una piccola summa poetica della vita di campagna, con il prezioso “pursit” e con i paesaggi – spesso malinconici – di una campagna, bella a vedersi, meno amena da viverci.

E dopo tanto Friùl ci piace concludere con una filastrocca in dialetto veneto, raccolta alcuni anni fa, in campagna, da una anonima Silvia: “Din don campanon/ tre putele sul porton, / una che fila / una che desfa / una che fa i pipini de pessa, / una che prega il santo Dio/ che ghe daga un mario/ come un persego fiorio/.

Ugo Padovese


(immagini di Fotoreporter - Portogruaro)

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