L’otto dicembre 1993 mi telefonò il mio amico e collega del Gazzettino, Vinicio Scortegagna, fotoreporter. “Guarda che deve essere successo qualcosa a Portovecchio; parlano di una bomba. Sarà il caso di andare a vedere”. “D’accordo”. Mi viene a prendere e dopo pochi minuti siamo a Portovechio, una frazione di Portogruaro, a tre chilometri dal capoluogo. I Carabinieri se ne stanno andando. Come al solito (quello allora era l’atteggiamento di tutte le forze dell’ordine) nessuna notizia alla stampa, salvo quando l’azione degli stessi avesse sortito risultati clamorosi. Diamo un’occhiata. Una cabina telefonica situata vicino a una sede scolastica e di fronte a un supermercato è gravemente danneggiata. Nessuno è rimasto ferito. L’allarme era stato dato da uno degli avventori di una vicina osteria dove si era sentito il botto. Lo sconosciuto aveva deposto all’interno un tubo di ferro con esplosivo, un tubo-bomba che esplode da solo. Più tardi cambierà tecnica: il congegno inserito in un uovo, o in una scatoletta di pomodoro o di qualcosa d’altro con il dispositivo che detonerà quando uno tocca l’esca. Altri deflagheranno per pressione della persona. A Portogruaro un ordigno era stato messo sotto la sella di una bicicletta; quando ci salì il proprietario non successe nulla perché il velocipede era stato troppo all’aperto. Nel nostro servizio al Gazzettino catalogammo l’episodio come un fatto un po’ strano ma non clamoroso, quasi una bravata. Che l’autore fosse Unabomber venimmo a saperlo ovviamente più tardi, quando avvennero fatti analoghi provocando spesso feriti, talora gravi. L’azione di questo killer durò 14 anni, dal 1993 al 2007, con almeno 28 episodi andati “a buon fine”. Fu braccato in tutto il Nord Est da gruppi di Procure, poi accorpate in una sola con grandi spiegamenti di risorse umane ed economiche; non si arrivò mai a nulla. Sentimmo di un altro ordigno scoppiato il giorno dopo in maniera analoga in una cabina telefonica di Bibione. Ma non venimmo a capo di nulla. L’episodio non è mai stato ufficialmente segnalato e quindi potrebbe non essere successo. Numerosi e originali, gli attentati di Unabomber a Portogruaro: un uovo esplosivo viene trovato al supermercato Continente il 31 ottobre 2000 e disinnescato prima che fosse stato fatto esplodere casualmente; il 6 novembre 2001 ordigno dentro un tubetto di pomodoro ancora al supermercato Continente. Una donna rimane gravemente ferita alla mano sinistra. Il 17 novembre l’esplosivo è collocato dentro un tubetto di maionese, nello stesso locale, ma una donna si accorge di una anomalia del prodotto che poi viene disinnescato. Il 2 aprile 2004, nella Chiesa di Borgo Sant’Agnese, il dispositivo è collocato sotto un inginocchiatoio, ma il parroco don Oscar Redrezza si insospettisce e dà l’allarme. Il congegno esplosivo viene disinnescato. Per anni l’ingegnere di Azzano Decimo, Elvo Zormitta, viene sospettato di essere l’Unabomber, ma i giudici non riescono a trovare la minima prova.. Il 2 marzo Zormitta, che per sei anni era stato seguito in maniera asfissiante senza che scaturisse niente di sospetto a suo carico, esce definitivamente dall’inchiesta in cui risultava indagato, inchiesta che viene archiviata per mancanza assoluta di prove. Gli avvocati dello Zormitta chiedono un maxi risarcimento di 2,5 milioni di euro anche per la storia del “taglierino” una prova “costruita” contro Zormitta, completamente inventata, per procurare a qualcuno gloria imperitura per aver incastrato l’Unabomber. Per fortuna il perfido e vergognoso tentativo di poter condannare un innocente viene sventato.
Due anni dopo il riconoscimento d’innocenza dello Zormitta, incontro don Leo Collin , parroco di Corva di Azzano Decimo. “Zormitta è della mia parrocchia, racconta don Collin. Ho seguito per anni la sua tragedia, cercando di sostenerlo e di dargli fiducia”. “L’ho visto proprio in questi giorni: non ha ricevuto ancora un soldo di risarcimento e non è stato chiamato - come sperava - da importanti aziende che sembrava volessero assumerlo . Lavora ancora per la sua vecchia azienda, alla quale comunque è molto grato. Zormitta non ha ancora superato lo choc di una accusa infamante che lo ha inseguito per anni, conclusasi infine con la grave faccenda del “lamierino” alterato. E’ libero finalmente – sottolinea don Leo – ma il marchio di Unabomber è qualcosa che gli ha cambiato completamente la vita”.
Ugo Padovese
(immagini di Fotoreporter - Portogruaro)