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La Penultima cena
10-12-2012: di e con Paolo Cevoli

“Qui giace Paulus Simplicius Marone nato a Rimini, nell’anno zero o meglio doppio zero, sotto l’imperatore Tiberio che imparò l’arte culinaria dal cuoco Apicio, il più famoso chef dell’antichità!... Dovete sapere che il più capolavoro che Leonardo ha pitturato è stata “L’ultima cena” Il problema è che quando l’ha pitturata Leonardo ci ha messo in tavola solo un po’ di pane e un po’di vino!  Con tutto quello che io avevo preparato! Leonardo informati!... Le cose non sono andate proprio cosi! Io sono stato il capo del servizio catering dell’Ultima Cena di Gesù e sono stato incaricato dagli dei di venire qui a Portogruaro per raccontarvi la mia storia”. Inizia pressappoco  così la straordinaria avventura  di Paulus Simplicius Marone (alias Paolo Cevoli) nato in una capannina sul mar Adriatico allevato dal nonno, personaggio molto simile a San Pietro, con quella sua tipica saggezza da pescatore, adottato dal nobile romano Pomizio Marone, e giunto a Roma per imparare con dovizia i segreti della buona cucina presso Apicio. Una sera, durante un banchetto alla  villa del nobile Gaio Sulpicio, il padrone di casa, viene avvelenato da alcune bacche orientali di colore blu usate da Paulus per insaporire la carne. Per non essere accusato di omicidio, il cuoco romano fugge in Palestina dove incontra Gesù. Quel matrimonio a Cana di Galilea rappresenta per lui un’occasione da non perdere, ma  proprio mentre il cuoco si sta accordando per concludere un affare vantaggioso con il padre della sposa, uomo piuttosto avaro, il Maestro di Nazareth compie il miracolo e trasforma l’acqua contenuta nelle giare in un vino davvero sublime. Lo chef   è colto da una grande delusione ma ecco che gli occhi di Gesù incontrano i suoi. “Lui mi ha guardato l’anima” -esclama, rivolgendosi al pubblico con un velo di commozione,- “e a me mi è successo tutto un lavoro strano nello stomaco…”A quel punto il cuoco ha una  geniale intuizione,  aprire con l’aiuto di  Gesù, il ristorante “Al miracolo” dove si mangia da Dio.  Ormai è affascinato da quell’uomo che “fa ragionamenti da fuori di testa” difficili se non impossibili da capire per quelli come i discepoli che non hanno il “culturismo” giusto per stargli dietro. Racconta curiose barzellette (le parabole) che l’artista della buona cucina reinterpreta con una sorprendente schiettezza come quella del figlio normale e di quel figlio un po’ “patacca”, di nome Elvis,  che torna dal padre perché sa che il figlio maggiore se ne sta al calduccio a guardare Sky.  Fondare una società imprenditoriale con Lui sarebbe proprio una buona idea e l’opportunità giunge quel mattino sul lago dove si è radunata molta folla. Dopo una chiacchierata con Giuda, “persona sensibile al discorso soldi”, l’accordo è stipulato e Paulus inizia a preparare diligentemente il pane per tutta quella gente. “Proprio mentre senti che ciò per cui sei stato destinato fin da bambino si sta realizzando”,  quello sconosciuto che tutti chiamano il Figlio di Dio, compie l’ennesimo miracolo distribuendo pane a volontà (ovviamente gratis!). Paulus vede svanire ogni speranza di successo  e decide di fondare l’A. D. V. D. M. D. G. (Associazione  Delle Vittime Dei Miracoli di Gesù). Ma ecco una nuova possibilità che permetterà al cuciniere di dare lustro alle sue capacità culinarie: la cena di Gesù e i suoi discepoli durante la Pasqua, la più importante festa ebraica. Paulus si mette d’impegno e, con passione, prepara tutti i manicaretti possibili (wurstel compresi), come si confà ad uno chef di qualità. Ma quella sera, nessuno può apprezzare le sue pietanze perché “questi ebrei sono un popolo veramente difficile a cui dare da mangiare. Buttano via tutto! E pensare che mio nonno mi diceva sempre: Del maiale non si butta via niente, della maiala si tiene tutto anche il numero di telefono!”. Come se non bastasse, quella notte tutto va storto: il tradimento di Pietro, l’arresto di Gesù, la condanna. Ma quelle ultime parole colpiscono profondamente l’animo di Paulus: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici…”. Una drammaturgia ricca e ritmica piena di flashbacks e digressioni strettamente unita ad una ironia diretta  leggera e delicata senza volgarità o esagerazioni,   per raccontare l’emozione dell’incontro tra due sguardi: quello di un vero creativo della cucina e quello del Creatore del Mondo che trasforma una vita ordinaria in una vita in cui ciascuno di noi è chiamato a compiere qualcosa di davvero grande. Quelle battute che nessuno si aspetta, caratterizzate da  neologismi e parole non finite che fanno scoppiare tra il pubblico che gremisce la sala, quella risata gustosa e contagiosa. Non può mancare una scenografia semplice ed essenziale costituita da una lapide tombale un similrudere di colonna romana in cartongesso e un muretto a secco come quelli costruiti mattone su mattone sotto il sole di Gerusalemme. La musica e le luci sottolineano solo i momenti più salienti della vicenda per non interrompere il fluire del racconto. Un Paolo Cevoli inedito rispetto alle performances di Zelig, assolutamente, dinamico e   padrone della scena che riesce a mantenere alta l’attenzione degli spettatori per più di un’ora e mezza e non ha bisogno d’altro, se non di sé stesso, per fare teatro. Un  Cristo molto umano e assai poco divino, visto con gli occhi umili, ma nobili di un cuoco che legge il mondo nel perimetro e secondo il parametro della piadina. Questi sono gli elementi che hanno decretato l’enorme successo de “La Penultima cena”.  In verità, in verità vi dico: Se non credete a  ciò che ho scritto, non vi resta che andare a vedere lo spettacolo!

Elena Toffoletto

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