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Consegnare o tradire?
02-07-2012: Centro Studi Veneto Jacques Maritain - Settimana Antropologica

“Ascolta con me, non dico ascolta me, ma dico: ascolta con me”. Così diceva Sant’Agostino commentando un sermone. Ogni tradizione, da quella orientale e cristiana a quella moderna   si basa sull’ascolto e sulla trasmissione condivisa  di patrimoni e di storie nascoste tesori preziosi affidati ai fili del tempo e ai cuori di ogni generazione. Chi consegna qualcosa ad altri  dona   importanti tasselli sulla verità di sè, sia a livello di storia personale, sia a livello culturale o economico  e, solitamente, lo fa in piena libertà, poiché si fida profondamente della persona o delle persone a cui  affida la consegna e la o le  ritiene responsabile/i del suo o del loro operato. Colui che assegna sa di non essere solo. Anche alla fine della vita ciascuno di noi ha bisogno di mettersi nelle mani di Qualcuno più grande e più alto ed iniziare un dialogo interiore. il termine religione deriva infatti dal latino religo che significa “legarsi a qualcuno”, se non per dialogare interiormente con la voce del divino anche solo per continuare a vivere nei ricordi delle persone care. Nella Scrittura si incontrano molti esempi con riferimento allo stesso verbo consegnare o al medesimo campo semantico. Gesù affida ad ogni uomo i talenti nella giusta proporzione perché portino frutto e non vengano nascosti sotto terra per paura, o ancora dà in custodia la sua vigna ad alcuni vignaioli perfidi, fino a donare la sua vita per amore. “E chinato il capo consegnò lo spirito”(Gv 19-28-30) e mandare ai discepoli lo Spirito Santo affinché ricordino ciò che hanno udito e visto e lo testimonino al mondo con le parole e le opere. «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il  peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».(Gv 16; 12-15) Consegnare è un atto d’amore e chi dona deve anche essere pronto a rispettare la libertà di chi riceve. Il ricevente, in nome di questa personalissima libertà,  può anche gettare via ciò che gli viene dato per essere custodito, sfregiando il dono con la ferita del tradimento. La delicatezza e la responsabilità, dunque, devono essere le virtù proprie di chi, con saggezza, si fida e perciò affida poiché occorre estrema attenzione nel  decidere che cosa dare, a chi e, soprattutto, quando affinché non sorgano malintesi o sofferenze all’interno delle relazioni. Al momento attuale, trasmettere qualcosa è una prova di coraggio una vera e propria impresa anche dal punto di vista economico poiché, se in passato l’impresa economica consisteva in una comunità fondata su un’organizzazione e su specifici obiettivi, nata per produrre, attraverso la creatività valore aggiunto e beni direttamente fruibili dal mercato, oggi, anche i manager con alto potere decisionale all’interno delle aziende, si ritrovano costretti a dover decidere da soli il da farsi. Ed ecco che anche per “i primi della classe” la paura del fallimento è sempre in agguato, fino alle conseguenze più estreme in cui anche i primi della classe diventano ultimi alla stregua di coloro i quali, schiacciati dalla vita,  nelle grandi città come Milano, non possono fare altro che consegnare storie difficili e anime piagate. Che fare dunque  per consegnare alle nuove generazioni qualcosa di positivo e virtuoso? Occorre, innanzitutto, riconsiderare ogni età della vita con la sua ricchezza esperienziale ed umana,  accettando il tempo che viene senza voler prolungare ad ogni costo la giovinezza o l’età adulta. Dobbiamo essere pronti a consegnare noi stessi e i nostri patrimoni, di qualunque tipo essi siano, anche nel momento in cui non lo  vorremmo mai ed anche se sappiamo bene che ciò che abbiamo fatto non è compiuto, accettando che il nostro testimone possa essere spezzato da chi ci tradisce,  lasciando comunque  spazio alle nuove menti  perché, per dirla con le parole pronunciate da De Gasperi, in punto di morte: “Ho fatto ciò che potevo ma c’è ancora molto da fare. La gente non accetta di consegnare cose incomplete”.  In secondo luogo bisogna riponderare il peso della parola libertà, dalla quale nascono la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e le altre Dichiarazioni figlie dell’Occidente, per non atomizzare i diritti sull’individuo, ma concretizzarli  per l’intera umanità, con la consapevolezza che l’uomo non è l’unico artefice del proprio destino e non deve divenire vittima della sua stessa volontà di potenza.  Solo così potremo consegnare, almeno  idealmente, alle generazioni che si affacceranno sulla scena della Storia, una società impegnata in vista di ciò che Maritain chiamava, “bene comune”.

Elena Toffoletto

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