Le mafie sono donne dai mille volti che intrappolano e seducono con i soldi facili, le infiltrazioni economiche, le persone insospettabili che ne fanno parte e le collusioni sempre più frequenti ed insidiose con la politica e le istituzioni. Nella sala del Teatro Russolo gremita di cittadini e giornalisti, Antonio Ingroia, Procuratore Aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo dal 2009, racconta la sua esperienza di magistrato. “Quand’ero ragazzo, i morti per mafia riempivano le strade di Palermo ed è per questo che, a conclusione dei miei studi liceali, pieno di entusiasmo e di ideali, ho deciso di iscrivermi alla facoltà di giurisprudenza.” Dal 1987 Ingroia opera presso il pool antimafia di Palermo sotto la guida dei giudici Falcone e Borsellino, che persero la vita, per mano mafiosa, nel 1992 nelle stragi di Capaci e Via D’Amelio, dopo una lotta determinata e appassionata contro Cosa Nostra che culminò con il Maxiprocesso di Palermo il quale portò all’arresto di famosi capi come Riina, Bagarella e Santapaola. “Dopo quello schiaffo durissimo” - prosegue Ingroia- “la mafia ha abbandonato le stragi spettacolari con bombe ed esplosioni adottando la strategia della ricerca dell’appoggio e della complicità da parte delle istituzioni statali. Ecco allora che si rompe quell’efficacissima alleanza, tra lo Stato e le istituzioni, che aveva caratterizzato la lotta degli anni ’80. Ora le mafie non operano più alla luce del sole come accadeva nella Sicilia descritta da Leonardo Sciascia nel suo romanzo dal titolo: Il giorno della civetta, in cui il capo mafia viene rispettato onorato da tutte le massime cariche del paese (compresa quella ecclesiastica). Se le mafie hanno modificato il loro modus operandi significa che non godono più dell’alto consenso sociale di un tempo, dunque devono operare dal basso e questo ci dovrebbe consolare e confortare nel proseguire la nostra lotta”. “Una delle cause per cui però oggi quest’ultima sembra essersi fermata”- ha proseguito ancora il procuratore- “può essere ricercata in quella che, in termini legislativi, viene chiamata prescrizione del reato. La legge infatti prevede che, nel caso in cui sia trascorso un periodo di tempo piuttosto lungo dalla commissione del reato e l’imputato sia ancora sotto processo senza una sentenza definitiva, il reato non sia più punibile. Con questo metodo molti capi mafia sono rimasti impuniti non perché non avessero commesso reati, ma per la cosiddetta decorrenza dei termini causata dalla lunghezza dei tempi processuali. Dunque è auspicabile mantenere la prescrizione del reato, a patto che questa non venga calcolata dal momento in cui viene commesso il fatto criminoso, ma dal momento in cui lo Stato acquisisce informazioni in merito al fatto stesso. In questo modo anche se i dati vengono acquisiti tardivamente, lo Stato italiano può procedere all’arresto di chi ha commesso il reato. “La partecipazione attiva dei cittadini nella lotta alle mafie attraverso l’educazione alla legalità e la promozione di iniziative come questa”- conclude il magistrato- “resta, però, un pilastro indispensabile poiché, come le mafie agiscono dal basso, allo stesso modo la cittadinanza deve rispondere facendo sentire la propria voce dal basso partendo dalla formazione dei giovani. Sono intervenuti il sindaco della città di Portogruaro, Antonio Bertoncello, l’Assessore alla Cultura, Anna Maria Foschi, il referente di Libera Veneto, Don Luigi Tellatin e la vice sindaco di Trieste, nonché giornalista, Fabiana Martini che ha condotto e moderato la serata con domande specifiche e puntuali. Un doveroso ringraziamento va al Presidio Libera Portogruaro per l’organizzazione dell’iniziativa e, allo staff del Teatro Russolo che, ancora una volta, ha dimostrato la sua sensibilità nei confronti delle tematiche riguardanti la cittadinanza e, più in generale, la comunità.
Elena Toffoletto