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Annotazioni
Quando il gioco del calcio era solo un divertimento
23-06-2011

E’ diventato difficile oggi leggere un giornale sportivo; il calcio è sempre in prima pagina, ma collegato ad arresti, interrogatori, agenti, giudici, scommesse clandestine da 100 mila euro, giocatori “sedati” da sonniferi.
Campioni importanti; alcuni famosi ma poco “puliti”. Un atleta delle scommesse taroccate ha avuto l’impudenza di affermare alla TV: “Scandali di questo genere in Italia capitano ogni tre-quattro anni; ma il calcio è la “droga” indispensabile per gli italiani. Tutto sarà presto dimenticato e perdonato”. Sadismo e stupidità abbinati. Una volta il calcio attivo e passivo, per tutti o quasi, era solo divertimento, che di solito iniziava sui sagrati e poi nei campetti degli oratori.

Mi è capitato casualmente tra le mani, oggi, un vecchio ritaglio del giornale “Ogni-Sport”, che era un inserto sportivo (quasi solo calcio) del quotidiano “Il Gazzettino” del lunedì.
Un titolo su tre colonne: “Ha vinto il torneo”; una data: 24 marzo 1953; quindi una foto con undici giovanissimi calciatori; sei in piedi, cinque accovacciati e un arbitro in tuta: Guelfo Capitanio, i vecchi lo ricordano. La didascalia: “La squadra vincitrice del torneo giovanile di Portogruaro organizzato dall’Oratorio Pio X”.  Vince il mio rione “San Francesco”, alias “casette nove”, le prime case popolari della città, fatte costruire da Benito Mussolini nel 1938.
Poi seguono i nomi dei giocatori; con senile soddisfazione vedo anche il mio. Addirittura capitano di una formazione che allinea  Giovanni Gavagnin, che diventerà il pilastro della Nazionale di Basket, Premio “Gervino – Città di Portogruaro” qualche anno fa. Lo scontro finale non è cruento, ma molto duro; gli avversari sono “storici”, quelli di “Via Garibaldi”; salvo  “Rione San Francesco”, Via Garibaldi ha sempre battuto tutti gli altri: Sacunìt, San Nicolò, San Gottardo, Palù, San Giovanni. L’undici cittadino, quello di “Via Garibaldi”, che fa da pendant alla parallela Via Martiri, è capitanato dal formidabile Vittorio Battiston, oggi cavaliere e notissimo nel mondo del volontariato. All’attacco “Via Garibaldi” può schierare il veloce e astuto Angelo Sette, predestinato a diventare presidente della Friuladria. A centro campo Antonio Michielon e in porta Luciano Battiston, fratello del cavaliere; portiere formidabile. E’ battuto solo in zona Cesarini da un tiro velenoso di Bruno Moretto. Esultano quelli del “Rione San Francesco”; invece i giocatori “Via Garibaldi” protestano inutilmente perché l’arbitro Guelfo Capitanio fischia la fine: “Rione San Francesco” batte “Via Garibaldi” per una rete a zero, segnata al ’44 del secondo tempo. Tripudio, urla,  proteste; ma tutti sono contenti. “Via Garibaldi” vincerà la prossima volta. Lo promettono. Il primo appressamento al calcio (una palla di stracci, o di gomma o di tennis) da chierichetti del Duomo di Sant’Andrea, prima e dopo le funzioni. Si giocava nel vicolo stretto e sassoso del Duomo. A vederlo oggi quel budello, appare impossibile capire come 25 – 30 ragazzi, alcuni già vestiti con la tonaca nera e la cotta bianca per guadagnare tempo, potessero muoversi, correre, scontrarsi e talora toccare il “pallone” in quel cunicolo; e ci si divertiva moltissimo. Il ‘nonsolo’ infatti compiva sforzi per farci smettere, quando le giovani truppe dovevano proprio rientrare in Chiesa, attraverso la Sagrestia, per le funzioni.

Nel vicino campo dell’Oratorio Pio X, dirimpetto la Concattedrale, in un angolo verde nel cuore della città, ancora salva da palazzoni impudenti, si andava meglio. Porte regolari; limiti del campo e area di rigore segnati con la calcina, pallone di cuoio non eccessivamente rattoppato; i più fortunati sfoggiavano vere scarpe da calcio con i tacchetti; gli altri si arrangiavano. Solo il campo era lasciato al naturale: polvere spessa d’estate, fango e melma d’inverno. Ci si divertiva molto.
Qualche volta, dopo i vespri domenicali del pomeriggio, si correva in Borgo San Gottardo dove il Porto, allora “Undici romatino”, si batteva sulla terra rossa. Alla fine i giocatori erano riconoscibili a fatica. Ancora più emozionante per il “Gruppo Oratorio”, (c’ero anch’io) partecipare a un torneo regolare in un vero stadio, con tribuna di cemento a Villanova di Fossalta di Portogruaro, in una formazione della Sfai – Zignago di Gaetano Marzotto.
Una gioia immensa per la vittoria; perdere era uno strazio.

Nell’immediato secondo dopoguerra il portogruarese Pier Giovanni Mecchia, single, patito dello sport e di ciclismo in particolare, intesta tutto il suo patrimonio (una botta di milioni) al Comune di Portogruaro che ringrazia. Al “Palù” sorge il “Mecchia”: campo di calcio, pista ciclistica (verranno anche Bartali e Coppi), tribune coperte, servizi. Una pacchia. La squadra “granata” tribola nei campionati inferiori e cambia spesso Presidente. Ci si diverte meno. Finalmente la famiglia Mio – da sola – compie il miracolo e dopo un’incredibile scalata, porta l’Undici granata in Serie B. Da non crederci. Per una città di soli 23 mila abitanti autoctoni e circa 2 mila migranti è un avvenimento anomalo, anche se eccezionale, emozionante, esaltante. Non era mai successo in Italia.
Dura poco. Soltanto un campionato (2010 – 2011). Appagata ma sostanzialmente abbastanza indifferente la città di Portogruaro. E càpita proprio all’epoca degli scandali delle scommesse illegali e dei risultati truffaldini. I Mio e i “granata” escono a testa alta.

Non mi piace più il calcio. Alla televisione non guardo più nemmeno la Nazionale. Mi addormento come i giocatori dopati con il sonnifero perché perdano la partita.
Il calcio non è più uno sport divertente.

Ugo Padovese

(immagini di Fotoreporter - Portogruaro)

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