“Le parole servono a comunicare e raccontare storie. Ma anche a produrre trasformazioni e cambiare la realtà. Quando se ne fa un uso sciatto e inconsapevole o se ne manipolano deliberatamente i significati, l’effetto è il logoramento e la perdita di senso. Se questo accade, è necessario sottoporre le parole a una manutenzione attenta, ripristinare la loro forza originaria, renderle di nuovo aderenti alle cose”. Queste poche righe (presenti nella quarta di copertina del libro) raccontano di un mondo, quello dell’informazione e della politica, che trova ampia descrizione nel saggio “La manomissione delle parole” di Gianrico Carofiglio (già magistrato e senatore della Repubblica Italiana). In 143 pagine Carofiglio ci illumina sul valore dell’uso corretto delle parole, non soltanto dal punto di vista lessicale e grammaticale ma anche e soprattutto da quello deontologico e morale. Scrive: “Mi ha sempre affascinato l’idea che le parole - cariche di significato e dunque di forza - nascondano in sé un potere diverso e superiore rispetto a quello di comunicare, trasmettere messaggi, raccontare storie. L’idea, cioè, che abbiano il potere di produrre trasformazioni, che possano essere, letteralmente, lo strumento per cambiare il mondo”. Un potere, quello delle parole, che troppo spesso viene svilito da un’informazione ingorda di gossip e al servizio della pubblicità, nonché da una politica assetata di voti, telecamere, primi piani e facili consensi. Poche settimane fa, a tal proposito, dalla Germania (dall’autorevole? Bild) è arrivata la notizia che l’Isis starebbe preparando attentati da compiersi in estate sulle nostre spiagge. Un modo, questo, di usare la parola come un vero e proprio “atto terroristico mediatico”, fatto solo ed esclusivamente per gettare fuoco sul fuoco senza alcun scopo di informazione o approfondimento. Scrive ancora Carofiglio: “Le parole sono anche atti, dei quali è necessario fronteggiare le conseguenze. Esse sembrano non avere peso e consistenza, sembrano entità volatili, ma sono in realtà meccanismi complessi e potenti, il cui uso genera effetti e implica (dovrebbe implicare) responsabilità”. E in effetti anche a tutti noi, qui a Portogruaro, viene troppo spesso il sospetto che le parole non abbiano peso e consistenza. Perché, ad esempio, da tempo sentiamo parole come “l’Ospedale di Portogruaro non verrà toccato” o “il Punto Nascite riaprirà a breve”, che nell’evidenza dei fatti, poi, non trovano corrispondenza nella realtà. Un tema, quello dello svuotamento del PESO delle parole, che mai come in questo momento storico l’Italia (ma non solo) sta vivendo e, ancor più, subendo. Nell’era digitale, infatti, tutto è liquido e tutto passa, nessuno si ritiene responsabile di ciò che ha affermato un attimo prima; le parole volano nell’aria e si disperdono tra un post di facebook e un tweet di twitter. E qui è doveroso riflettere sul tweet a dir poco sgradevole che l’Onorevole del Pd Ernesto Carbone ha scritto nel giorno del referendum sulle trivellazioni in mare: “Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, per loro, l’importante è partecipare #ciaone”. Come può un deputato della Repubblica Italiana scrivere un tweet come fosse un ragazzino delle medie? Non parliamo del contenuto “politico” (qui non ci interessa) ma di quel #ciaone che va contro ogni norma di rispetto altrui e di correttezza morale e sociale. Da “La manomissione delle parole”: “Un ulteriore segnale del degrado di sviluppo di una democrazia e, in generale, della qualità della vita pubblica si può desumere dalla qualità delle parole: dal loro stato di salute, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare”. Sì, la qualità della parola. Tutto, oggi, nell’uso che facciamo delle parole è drammaticamente scadente. Impastiamo l’italiano con slang inglesi di cui nemmeno conosciamo il significato ma diciamo di usarli perché sono dei “trend”; abbiamo smesso di cercare dei sinonimi con la conseguenza di appiattire il nostro vocabolario verso parole ripetute all’infinito ormai private di ogni sfumatura; fatichiamo a dare un senso logico a discorsi più lunghi di venti secondi ingarbugliando soggetto, consecutio temporum, subordinate… Carofiglio, per chiudere: “Tutti possiamo verificare, ogni giorno, che lo stato di salute delle parole è quanto meno preoccupante, la loro capacità di indicare con precisione cose e idee gravemente menomata”.