(da Portogruaro.Net Magazine settembre/ottobre 2015)
Quinto di Treviso, Eraclea, Casale San Nicola. Nell’estate più calda degli ultimi anni queste tre realtà sono state al centro delle cronache per le reazioni di rabbia e protesta che alcuni residenti hanno avuto all’arrivo (e al soggiorno) di migranti africani. Per settimane, nei maggiori programmi televisivi di approfondimento politico e nei telegiornali nazionali si sono viste scene di altissima tensione tra i cittadini, le Forze dell’Ordine, i migranti stessi. Sequenze di autentico disagio che hanno portato alla rimozione del Prefetto di Treviso, alla creazione di comitati permanenti del NO, allo scontro sociale. Pagine di vita vera che hanno testimoniato le difficoltà altrettanto vere della messa in pratica di belle parole sulla carta come “integrazione”, “accoglienza”, “solidarietà”.
IL “MODELLO PORTOGRUARO”
Anche qui, a Portogruaro, i migranti sono arrivati e hanno trovato rifugio. Il Prefetto di Venezia ha infatti individuato nella palestra dell’Istituto Scolastico “Gino Luzzato” il luogo più adatto al soggiorno di qualche decina di giovani africani. Ma a differenza di altre località (vedi, per l’appunto, Quinto di Treviso, Eraclea, Casale San Nicola) Portogruaro – e i portogruaresi – ha saputo ricevere questi cittadini del mondo evitando le urla, la rabbia schiumante, i cortei. Un segno di altissima civiltà che meglio di altri testimonia la capacità dei portogruaresi di saper “leggere” il momento, contestualizzarlo, di farlo proprio e agire di conseguenza. Bisogna riconoscere, tuttavia, che l’idea di sistemare questi giovani ragazzi all’interno della palestra di una scuola pubblica non è stata certamente una delle più azzeccate. Lo testimoniano, a tal proposito, i numerosi commenti di lamento che la notizia ha mosso nella pagina ufficiale di facebook di Portogruaro.Net, in particolare da parte di genitori giustamente preoccupati per la gestione della struttura scolastica in vista del ritorno all’attività dei propri figli. Ad ogni modo, il “modello Portogruaro” ha funzionato, e va dunque rivolto un plauso ai cittadini, e in primis ai volontari, che hanno saputo gestire con ordine e con la giusta attenzione questo particolare momento di “straordinaria” quotidianità.
LA MIGLIOR RISPOSTA
Allargando l’orizzonte al grande tema dell’immigrazione di massa che sempre più sta interessando la nostra Penisola, trovo esemplare la risposta che, sotto forma di post su facebook, ha dato Cecilia Strada (figlia del noto Gino Strada, fondatore di Emergency), a quanti continuavano a ripeterle il più classico dei “mantra”: “Perché, visto che parli tanto di integrazione, accoglienza e solidarietà, non ospiti i profughi a casa tua?”. Questa è la sua risposta: “E perché dovrei? Vivo in una società e pago le tasse. Pago le tasse così non devo allestire una sala operatoria in cucina quando mia madre sta male. Pago le tasse e non devo costruire una scuola in ripostiglio per dare un’istruzione ai miei figli. Pago le tasse e non mi compro un’autobotte per spegnere gli incendi. E pago le tasse per aiutare chi ha bisogno. Ospitare un profugo in casa è gentilezza, carità. Creare – con le mie tasse – un sistema di accoglienza dignitoso è giustizia. Mi piace la gentilezza, ma preferisco la giustizia”. Poche frasi, stentoree, dirette, che riassumono un’esigenza personale, quella di Cecilia Strada, ma ancor più collettiva, quella di tutti noi: l’esigenza di avere alle spalle uno Stato forte e in grado di gestire questa straordinaria situazione che ormai così straordinaria non lo è più; l’esigenza di avere alle spalle uno Stato forte e in grado di mettere in campo azioni concrete di selezione, rimpatrio (per chi non ha requisiti alla permanenza) e integrazione (per chi questi requisiti ce li ha); l’esigenza di avere alle spalle uno Stato forte e in grado di scindere con nettezza la gentilezza e la giustizia.