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DimensionEventi
7 MINUTI
30-03-2015: 24 marzo 2015- Teatro Russolo

È ormai notte. Bianca (Ottavia Piccolo) è là dentro da tre ore. Tre interminabili ore. Nello spogliatoio di una fabbrica tessile dell’Alta Loira, le altre dieci componenti del Consiglio di Fabbrica, attendono trepidanti un responso che pare non arrivare mai. Pochi raggi di luce filtrano da un enorme finestrone che si affaccia sulla città addormentata, mentre sogni e speranze si intrecciano, come fili di seta, sotto una cappa di silenzio assordante. Le note di una chitarra, tentano di stemperare una tensione che si sfiora con le dita. Un attimo dopo, infatti, basta una parola  per innescare la scintilla di una babele di discorsi accecati di rabbia dove ogni ragione sembra urlare più forte delle altre. Finalmente, Bianca esce. È preoccupata. Visibilmente preoccupata. Si accascia su una sedia con la testa fra le mani.  Non riesce proprio a scrollarsi di dosso le parole mielose e i sorrisi gelati di quei tredici uomini incravattati. Le altre donne si stringono attorno a lei in un cerchio che non le lascia respiro. “Allora? Hai notizie?” Nessuna risposta. “Oddio ci licenziano!!!” Oddio delocalizzano!” Lei alza gli occhi e fissa lo sguardo su ognuna di loro.  “Tranquille ragazze, non succede niente. Non ci sarà nessun licenziamento e nessuna  delocalizzazione. I vostri contratti rimarranno invariati.” “E tu? Non sei contenta?” Bianca tira fuori un foglio e lo innalza al di sopra di loro quasi fosse un trofeo. Poche righe scritte a caratteri grandi e leggibili.   “Questa me l’hanno data poco prima di uscire da quella porta e tornare da voi”. Subito, una mandria inferocita si getta su di lei pronta per afferrare  quel pezzo di carta .“No! Aspettate! È una lettera molto importante! Mi hanno ordinato di leggerla insieme a voi e ascoltare le opinioni di tutte. Poi, domani all’alba, decideremo se accettare o meno questa proposta”. Il coro delle donne ora si fa muto. Bianca legge lentamente. Le sue parole salgono dalla pancia  alle labbra  con un  ritmo secco, cadenzato, simile a quello della marcia di un esercito in guerra. “Con la presente, siamo felici di informare che tutte le operaie e le impiegate nella Picard e Roche potranno mantenere il loro posto di lavoro a patto che siano disposte a rinunciare  a sette minuti su quindici di pausa giornaliera. Firmato, i nuovi proprietari”. Sofia, impiegata, lancia un urlo d’esultanza: “Cosa aspettiamo? Accettiamo, no? Fidatevi, conosco bene la concretezza dei numeri. So che la produzione della fabbrica sta andando bene e che  se ognuna di noi sacrificherà i suoi sette minuti, il fatturato aumenterà notevolmente. In fin dei conti che cosa saranno mai sette minuti? Bianca la guarda dritto negli occhi, con la stessa fermezza di una madre. “Sofia cara,  non metto in dubbio che tu abbia ormai  una certa confidenza con i numeri. Ma non basta!  Bisogna che tu sappia che cosa sta dietro quei numeri. Io sono una semplice operaia, ma lavoro in questa fabbrica da trent’anni. Ormai il telaio fa parte di me. È cupo e sordo il suo rumore ed ossessivo il movimento delle mani che intrecciano la trama con l’ordito. A sera le dita fan così male che non le sento più. State  pur certe che gli uomini con i quali ho finito di parlare poco fa, non hanno scrupoli. Non immaginano nemmeno lontanamente quali siano le nostre fatiche. So per certo che questo sarà l’inizio di una lunga catena di rinunce. Sottomettersi al loro volere significa annientare in un sol colpo la nostra libertà di persone e la nostra dignità di donne. “Non me ne frega niente della dignità, della libertà, Bianca! Voglio il mio stipendio!!! Ho un marito e due figli, capisci? Se accettiamo finiremo per perdere il lavoro! I tuoi discorsi sono troppo alti, troppo filosofici! Pensi di saperne più di noi, solo perché lavori qui da molto tempo, ma non sai quanto sia dura la vita quando riesci a malapena a mettere insieme il pranzo con la cena! Per me il lavoro è tutto!- sibila Arianna, operaia al reparto cardatura, con la ruvidezza di chi teme che la terra si apra sotto i suoi piedi.  –“Se tutte la pensate così non ci resta altro da fare che votare!”- Come un fiume in piena, le donne si riversano ancora una volta, al tavolo delle decisioni che, già in passato, tante discussioni aveva ascoltato e altrettante lacrime aveva accolto. Bianca distribuisce i fogli per la votazione. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove dieci. Dieci voti favorevoli. Uno solo contrario, quello di Bianca. Ormai è quasi l’alba e la  donna che guida le compagne alla conquista della libertà, come la fanciulla protagonista del dipinto La libertà che guida il popolo, sa di avere poco, anzi, pochissimo tempo per  tentare di convincerle a mutar di parere. Si siede con calma come chi sta prendendo la misura d’ogni azione,  mentre loro la osservano come cani inferociti. Sa di dover lavorare sui loro pensieri con la stessa pazienza di Michelangelo,  il quale, con rapidi tocchi di scalpello, dava voce all’ opera che trovava dimora nel marmo che, una volta terminata, sarebbe stata destinata a rimanere immortale nei secoli.  “Ragazze, ascoltatemi bene, il voto contrario era il mio ed ora vi spiegherò il perché. Concordo con voi, sette minuti valgono quanto un soprammobile che sta in bella vista sul tavolo di casa, ma, moltiplicati per un mese, equivalgono a ben seicento ore di lavoro in più. Seicento ore di lavoro regalate in cambio di nulla!” “Io prendo il treno ogni mattina, sul far dell’aurora per venire al lavoro e non so nemmeno se, quel giorno, riuscirò  a tornare a casa”- ribatte Aneta, impiegata che viene dall’est- “per me, non sono sette minuti a fare la differenza”- E poi c’è Fatou, operaia specializzata. Viene dall’Africa. Non sa che cosa sia la dignità, ma conosce la vera paura da quando è nata. Sua madre le aveva insegnato bene come fuggire dai ribelli per non cadere vittima dei loro agguati. Laggiù, in quel piccolo paese bruciato dal sole, l’unica cosa indispensabile è salvare la pelle ogni giorno. “Ci dispiace, Bianca, ma non crediamo per nulla alle tue parole!- fanno eco le altre- “Anzi, sai che pensiamo? Pensiamo che anche tu sia d’accordo con i nuovi proprietari della fabbrica! Ecco il motivo di tanti discorsi pieni di sani principi!” Sarebbe stata pronta a tutto, Bianca, ma non ad un affronto simile. Le aveva viste crescere quelle ragazze, aveva insegnato loro a lavorare e a farsi rispettare. Ma, ora, deve prendere una decisione, forse la più dolorosa della sua vita. Si toglie il grembiule e lo butta su una sedia con un gesto di stizza. “Me ne vado, lascio il consiglio!” Le altre donne si guardano perplesse senza capire. Poi guardano Bianca e, d’improvviso, inizia a farsi strada in loro la leggera, ma pungente, brezza del dubbio. E se avesse ragione? Se fosse un po’ più lungimirante di loro?  “Bianca, aspetta! Vogliamo votare un'altra volta!”  Il sole sta spuntando all’orizzonte. Ancora poche ore e il loro verdetto sarà irrevocabile. La seconda votazione rivela un risultato del tutto inaspettato, cinque voti favorevoli e cinque contrari. Parità assoluta. Tocca proprio a Sofia far pendere il piatto della bilancia dalla parte del sì o del no. In sala cala ancora il silenzio. Un silenzio d’attesa. Poi quella frase. Quattro parole ben scandite che  mettono fine a quella notte senza sonno aprendo la mente e il cuore ad un nuovo giorno: “Sono pronta, ho deciso”. Proprio in quel momento, cala il sipario. Non sappiamo che cosa quella donna  abbia deciso. Possiamo solo sperare che abbia capito, una volta per tutte, quanto un pensiero indipendente, lontano dal clamore delle voci altrui e dal pericoloso vortice delle emozioni, possa impedire a chi comanda di decidere in merito al suo futuro e a quello di tante donne come lei. Giovedì 29 gennaio 2015, alle ore 21.00 al Teatro Russolo, nella nuova pièce di Stefano Massini, dal titolo 7 minuti, ispirata ad un fatto di cronaca accaduto in Francia nel gennaio 2012, la grande sensibilità registica di Alessandro Gassmann, incontra i volti di undici donne: Bianca (Ottavia Piccolo), Sabina (Eleonora Bolla), Olivia (Paola di Meglio), Arianna (Silvia Piovan),   Fatou ( Maiga Balkissa), Rachele (Cecilia di Giuli), Aneta  (Olga Rossi), Mirella (Stefania Ugomari Di Blas),  Lorena (Arianna Ancarani) Sevgi (Stella Piccioni) e Sofia (Vittoria Corallo). Undici madri, mogli, figlie. E le parole volano come pugni in un incontro di box, nel racconto di quel mosaico d’esperienze, aprendo una voragine su quella umanità silenziosa fatta di vite spezzate e diritti calpestati mentre, dall’alto dei loro scranni, pochi uomini governano indifferenti il corso della Storia.

E.T.

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