“Buongiorno, signora, sono Andrea, in che cosa posso esserle utile?” “Cercavo via Erototo!...”
“Via Erototo… No, signora, forse sta cercando via Erodoto, lo storiografo greco autore delle Storie! Si trova vicino alla ferramenta “Tucidide!”
“Viale Manzotti?!...”
“Vediamo… No! Viale Manzotti non esiste! Esiste viale Manzoni, quella stradina sterrata e senza uscita intitolata ad un certo Alessandro che, nell’Ottocento, diede alle stampe quello che a tutt’oggi è considerato il romanzo dei romanzi, I Promessi Sposi! Coooosa?! Mi scusi, signore, non ho sentito bene! Via Eschilo…? Ah sì, quella piccola calle tranquilla e romantica dove si appartano gli innamorati! Si trova vicino alla fioreria! Nooo!!! Via Sofocle nooo! È una strada molto trafficata è camminare sotto il sole di luglio è davvero una tragedia!”…Salve a tutti ragazzi, mi chiamo Andrea Roversi e, come avrete capito, lavoro in un call center. Beh a dir la verità lavorare qui non è proprio il massimo delle mie aspirazioni, il mio sogno, infatti, sarebbe quello di insegnare, ma, dopo essermi laureato con il massimo dei voti in lettere e filosofia, non avendo la possibilità di entrare nella scuola, ho deciso comunque di iniziare a lavorare per uscire dal guscio protettivo dei libri e gettarmi nell’avventura del mondo. Abito in un palazzo a pochi passi dal centro di Milano. Il custode è Salim, un ragazzo algerino sempre sorridente e disponibile. Aiuta gli anziani, porta la posta e le borse della spesa, ma, soprattutto, ha un rapporto del tutto originale con i piccioni che popolano il tetto del condominio, come li caccia lui non li caccia nessuno! Pensate che ha dato loro perfino un nome! –“L’ho fatto per responsabilizzarli”- mi ha detto un mattino durante una passeggiata- “così quando li chiamo mi riconoscono!” Un giorno, al mio ritorno a casa dopo il lavoro, Salim mi saluta con un sorriso smagliante e una luce particolare negli occhi: “Signor Andrea è arrivato un telegramma per lei ed io mi sono permesso di leggerlo perché credo sia importante!”. “Salim, quante volte ti ho detto di non leggere la corrispondenza altrui? Comunque grazie!”. La apro con il cuore in gola. Sembra una circolare proveniente da una scuola. Quelle poche righe danno una svolta decisiva alla mia vita: IL DIRIGENTE SCOLASTICO DELLA SCUOLA MEDIA GIUSEPPE PARINI DI MILANO AFFIDA AL SIGNOR ANDREA ROVERSI L’INCARICO DI UNA SUPPLENZA DI ITALIANO DAL 10 APRILE AL 30 GIUGNO. Non ci potevo credere!! Mi avevano chiamato! Avevano chiamato proprio me! E, per giunta, nella stessa scuola che frequentavo da ragazzo! Sì, era proprio lei, quella con quel parcheggio di cemento davanti, quei quattro alberelli sfigati e la palestra enorme! In quel preciso istante, mentre provo a immaginare il mio ingresso in classe, si agitano in me tutti i sentimenti possibili. Come avrei potuto presentarmi ai ragazzi? Forse con un semplicissimo: “Ciao raga, tutto rego?” oppure con un formalissimo: “Buongiorno ragazzi io sono il vostro nuovo insegnante di italiano e sono qui per raggiungere insieme a voi un obiettivo: conoscere i grandi della letteratura italiana”. O, ancora, avrei potuto tentare un’entrata degna di uno show televisivo: “Ragazzi, buongiorno! Come state? Sono Andrea Roversi, il vostro nuovo insegnante di italiano e sono qui per presentarvi la “top five” degli autori più conosciuti del nostro tempo: Al quinto posto con: “La nebbia agli irti colli”, Giosuè Carducci! Al quarto posto con: “Cavallina, cavallina storna”, Giovanni Pascoli! Al terzo con: “Chiare, fresche, dolci acque”, Francesco Petrarca! Al secondo posto con: “Nel mezzo del cammin di nostra vita” il sommo poeta Dante Alighieri e, infine, al primo con: “La donzelletta vien dalla campagna” Giacomo Leopardi! Coooosa?! Giacomo Leopardi?! Nooo!!! Non dirmi che io per la prima supplenza della mia vita devo spiegare Vita e opere di Giacomo Leopardi! Ma quello è il poeta più sfortunato che sia mai esistito!!! Come farò?! Ma ecco Salim arrivare prontamente in mio soccorso: “Allora, signor Andrea, come è andata?” “È andata male, Salim, molto male! Mi hanno affidato l’arduo compito di spiegare la vita e le opere di Giacomo Leopardi!” Lui mi guarda. Sprizza gioia da tutti i pori. “Bene! Molto bene! Così inizia sua carriera con animale leopardo…” “No Salim, il leopardo non c’entra! Devo spiegare ai ragazzi Giacomo Leopardi! Il poeta di Recanati!!! Salim, ho deciso, rifiuto l’incarico non me la sento proprio di entrare in classe mercoledì!” Lui mi guarda ancora e, questa volta lo fa con la tipica fermezza degli africani: “Proverbio algerino dice: Se tu non affronti sfida, tuoi piedi si riposeranno, ma tuo cuore no!” Aveva intuito bene Salim ed è stata proprio la sua perla di saggezza a darmi la forza di entrare in classe quel giorno di primavera. La mia classe è proprio l’ultima in fondo al corridoio. Entro. Ho tutti gli occhi dei miei allievi puntati addosso. In ultima fila una ragazza si sta facendo le unghie e due fidanzatini si scambiano languide occhiate. Respiro profondamente e inizio a parlare: “Buongiorno ragazzi, mi chiamo Andrea Roversi, sarò il vostro insegnante di italiano fino alla fine dell’anno e vi accompagnerò in un affascinante itinerario alla scoperta di un signore della poesia italiana: Giacomo Leopardi. Immaginate ora salire a bordo di una macchina del tempo e di andare indietro fino al 29 giugno 1798. In quella calda giornata d’estate, a Recanati, un borgo abbarbicato tra le dolci colline marchigiane, nasce Giacomo Leopardi, figlio del Conte Monaldo e della contessa Adelaide Antici. È un bambino vitale e spensierato, Giacomo. Mi sembra di vederlo correre e saltare mentre la madre lo ammonisce severamente: “Giacomo mangia la minestra!” “Giacomo fai i compiti!” Poi, all’improvviso, la malattia. Subdola e feroce. Le vertebre si accavallano l’una sull’altra. La febbre e il dolore divorano il suo corpo lentamente, giorno per giorno e lui diviene sempre più piccolo e gobbo. Non esce più di casa. Non frequenta più la gioventù del paese che si trastulla tra feste e ricevimenti. Non sa più quale sia il suo posto nel mondo. Si sente solo, inadeguato, come quel passero solitario protagonista di uno dei suoi più famosi componimenti, che dalla vetta della torre antica, vola per la campagna e diffonde il suo canto finchè non muore il giorno. La primavera dintorno brilla nell'aria, e per li campi esulta, ma l’uccellino osserva tutto in disparte senza curarsi dell’allegria e dei divertimenti. Anche Giacomo ha ormai compreso che non potrà vivere in pienezza il tempo della sua giovinezza e il suo destino sarà quello di toccarla lievemente con le dita e lasciarla fuggire per poi volgersi sconsolato verso un passato mai vissuto. E allora scrive, legge e studia. Scrive legge e studia senza sosta forse per rabbia o anche solo per tristezza. I libri sono ormai divenuti la sua unica consolazione. La grammatica e le scienze la sua vera passione. A diciassette anni è autore di un trattato di astronomia, a diciannove di uno di matematica e, come se non bastasse, dal 1817 al 1832, affida allo Zibaldone ogni suo moto interiore. Condannato dal suo stesso corpo, guarda la vita degli altri dalla sommità di un ermo colle a lui molto caro immergendosi nell’oceano dei suoi pensieri mentre una siepe gli impedisce di contemplare la bellezza del paesaggio notturno. Poi, una notte tempestosa del 1821, prende la decisione che avrebbe radicalmente mutato il corso della sua esistenza: non sarebbe rimasto a Recanati un minuto di più. Si sarebbe allontanato da quella gente sempre pronta a giudicare e a puntare il dito, si sarebbe lasciato alle spalle una volta per tutte una madre austera e un padre senza tenerezza. Perciò, il giorno seguente, prende carta, penna e calamaio e scrive una convulsa lettera ad Angelo Mai, uno dei suoi più fidati amici, il quale, con inaspettata sollecitudine, gli risponde che gli avrebbe procurato il passaporto quanto prima. Tutto sembra andare per il meglio, ma il suo piano sfuma come i mille colori dell’alba, quando, alla vigilia della partenza, un conoscente viene a trovarlo per augurargli buon viaggio. Dopo aver ascoltato ogni cosa, il padre gli vieta categoricamente di partire. Ma il suo viaggio è solo rinviato. Un anno dopo, infatti, eccolo partire alla volta delle più belle città italiane: Milano, Bologna, Firenze, Pisa e Napoli alla ricerca di un ispirazione per riempire di vita ogni suo verso prima di spegnersi il 14 giugno 1837, a soli trentanove anni, ormai consumato da quello che gli studiosi d’oggi chiamano morbo di Pott. Lunedì 22 febbraio 2015, alle ore 9.00 e alle ore 11.00, presso il Teatro Russolo, in occasione della rassegna Teatro Scuola, l’ironico e commovente monologo di Andrea Robbiano, per la regia di Valeria Cavalli e Claudio Intropido, trasforma il poeta del cosiddetto “pessimismo cosmico”, in un giovane dall’animo nobile e profondo costretto a confrontarsi con gli stessi problemi e le medesime domande che interpellano ed animano gli adolescenti del nostro tempo: la solitudine, la paura e il desiderio di amare, il conflitto con i genitori e, non da ultimo, quel senso di disagio che si insinua dentro di loro senza far rumore e non smette mai di farli sentire fuori posto, o meglio, fuori misura, come recita il titolo dello spettacolo. Ma, nonostante questo, la vocazione dei giovani è la stessa della ginestra, quel fiore, timido e fragile, che spunta con determinazione alle pendici del Vesuvio: illuminare di sogni l’arida schiena del mondo.
E.T