da Portogruaro.Net Magazine (marzo/aprile 2015)
Lo scorso venerdì 13 febbraio la Sala Consiliare del Palazzo Municipale di Portogruaro ha ospitato una riuscita serata pubblica dedicata al tema della legalità, con particolare riferimento alla legalità a Nordest. Organizzata dalla Fondazione Santo Stefano Onlus, la serata ha visto la partecipazione di tre illustri ospiti: l’ex presidente del Tribunale di Pordenone Antonio Lazzaro, il regista sanvitese Ivan Vadori e il romanziere Stefano Piedimonte. Supportati da un numeroso e attento pubblico, i tre hanno offerto uno spaccato suggestivo della realtà italiana, da Nord a Sud, dalle Vele di Scampia alla Casarsa di Pier Paolo Pasolini, dalla camorra che spara e uccide a Napoli alla Sicilia di Peppino Impastato. Particolare attenzione è stata rivolta al nostro territorio, il Nordest. Un lembo di terra che a parer del dottor Lazzaro non può affatto dirsi escluso dal cancro dell’illegalità diffusa e dall’onta delle ingiustizie che quotidianamente ne minano le fondamenta. Una tesi supportata dallo stesso Vadori, il quale ho sottolineato come la parola “Portogruaro” compaia addirittura tra le pagine di “Gomorra”, libro cult di Roberto Saviano, che cita la nostra città per raccontare dell’arresto dei due casalesi latitanti qui nascosti e protetti per diversi anni. Il titolo dell’iniziativa era, a mio avviso, semplice e in egual misura definitivo: A ME IMPORTA. Sì, perché anche qui, al Nordest, a Portogruaro, abbiamo bisogno di gente a cui importi della legalità. E non stiamo parlando della legalità “macro”, quella che dovrebbe esserci nei grandi affari e nei grandi appalti (Mose docet). Parliamo più semplicemente della legalità quotidiana, quella fatta di piccole azioni concrete come pagare il biglietto del bus o farsi dare lo scontrino alla cassa. Ma con le parole “legalità” “quotidiana” possiamo benissimo includere anche il rispetto dell’altro, la cura e l’attenzione per il bene pubblico, l’adozione di buone norme di comportamento, e così via. Tutte azioni che sono ben lontane dai nostri comportamenti quotidiani, conditi al contrario da prevaricazione, arroganza, insistenza, menefreghismo, inciviltà. Certo, c’è chi potrebbe obiettare che in fondo i miliardi rubati dagli affaristi (per usare un eufemismo) invischiati nello scandalo Mose non verranno di certo recuperati attraverso il rispetto del verde dei giardinetti pubblici o evitando di montare in autobus scavalcando chi ci sta davanti. Vista in questo modo non fa una grinza ma se la giriamo per il verso giusto, ho il sospetto che quegli stessi faccendieri rispecchino esattamente l’avidità e la sete di potere dell’essere umano e, dunque, di tutti noi. Chiunque di noi davanti a tutti quei soldi avrebbe perlomeno vacillato, sudato i palmi delle mani, respirato con fatica; e certamente molti se li sarebbero pure messi in tasca esattamente come quei delinquenti. Insomma, il rispetto delle regole è buona prassi non tanto per evitare che un mozzicone di sigaretta finisca sul marciapiedi, quanto piuttosto per educarci ed educare il prossimo alla legalità, per evitare così di intascare soldi sporchi in quell’unica occasione che potrebbe capitarci nella vita.
LA MAGLIETTA E LA CINTURA
Ma allora qual è il senso ultimo della legalità a Nordest? Di certo, qui – forse più che in altre parti d’Italia – l’attenzione alla legalità risulta particolarmente bassa, e con ogni probabilità deriva anche dal fatto che noi non ci sentiamo per nulla minati dalle storie di tangenti e mafia che tutti i giorni trovano spazio nei giornali locali; sotto sotto crediamo ancora che da noi la camorra, la ‘ndrangheta o cosa nostra non vengano a investire i loro miliardi sporchi, riciclandoli davanti ai nostri occhi coperti di inconscia omertà. Di recente ho partecipato a un dibattito in cui l’oratore ha raccontato al pubblico presente la storia del guidatore napoletano che per evitare le multe dei vigili urbani si è inventato la maglietta bianca con il disegno della cintura messa per traverso. Come avreste reagito voi a questa bella narrazione? Provo a indovinare: con una risata. Ed è esattamente questa la reazione che ha avuto il pubblico presente al dibattito, me compreso. Ecco, nel momento preciso in cui noi tutti abbiamo smesso di sorridere di quell’atto di astuta furberia il nostro oratore ci ha ammoniti ricordando che è proprio questo l’atteggiamento che promuove l’illegalità (ovviamente è un paradosso utilizzato per amplificare la nostra reazione sbagliata), un modo di concepire quell’atto di “piccola” illegalità come un’astuzia da esaltare e, perché no, ricopiare (quelle magliette, infatti, negli anni Novanta sono letteralmente andate a ruba, anche da noi).