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Annotazioni
Come rileggere Orwell “1984” ?
12-05-2012: Con ricerca di cibo e combustibile?

Avevo letto da anni il capolavoro di Orwell “1984” un romanzo che mi era apparso assurdo, amaro, terrificante. Me lo rammentò Pasquale: un giovane di 30-40 anni, single, colto, un tecnico che lavora in un laboratorio di casa, dove vive da solo. Lavora di notte, dorme dalle cinque del mattino a mezzogiorno circa. Nel pomeriggio cura le sue produzioni agricole. Riceve telefonate soltanto in precisi orari. E’ anche un naturalista, esperto di erbe medicinali, che coltiva personalmente in un orto vicino casa e in un campo che ha affittato a Summaga.
Non è mai andato da un medico; non crede nella medicina ufficiale; si cura – pare con efficacia – con i suoi prodotti vegetali da cui ricava liquidi che poi conserva in boccette etichettate. Ha proibito a suo padre di andare dal medico: lo cura Pasquale e anche in questo caso con risultati sufficienti . Ha cercato di convincermi di usare alcune sue tisane contro i dolori di artrosi alle ginocchia; per simpatia ho accettato, ma poi sono riuscito a convincerlo che questa malattia degenerativa delle articolazioni, specie negli anziani, o meglio nei vecchi come nel mio caso, non è assolutamente curabile e a un certo punto di assuefazione, non si può neppure attenuare con gli analgesici più forti. Ha finito per accettare questa mia particolare situazione. Continua però a chiedermi di altri eventuali sintomi, pronto a fornirmi le boccette del caso. Cerca e riesce a vivere con somme scarsissime. Si procura il cibo quasi del tutto dall’orto, dove ha piantato vegetali di ogni sorta: cipolle, sedano, patate, cetrioli, pomodori… Nel campo affittato a Summaga ha esteso le sue coltivazioni anche al tabacco (tabacco di quello che si può comprare in negozio) che poi utilizza arrotolandolo nelle cartine che mio padre usava ancora negli anni Trenta/Quaranta del secolo scorso. Mio padre aveva finito per comperare un semplice meccanismo, che sapevo usare anch’io, con il quale le sigarette si formavano in maniera più compatta e semplicemente. Pasquale preferisce farsele al momento. Già qualche anno fa mi faceva discorsi che mi sembravano strani, artefatti, assurdi. “Rileggi bene Orwell – mi raccomandava – il nostro mondo va in quella direzione. La storia del “Grande Fratello” è qualcosa di vero, anche se mutano di epoca in epoca nomi, padroni e rappresentanti”. “ Quella di Orwell – affermava – non è un’ ‘invenzione’ romanzesca. È una realtà, anche se il “Grande Fratello” non è certo una figura fisica, anzi quasi metafisica, onirica, un concetto fantastico: è una realtà”. “Noi siamo manipolati, dalle grandi multinazionali, che sono poi trasversali – spiega Pasquale – dalle grandi Banche, dagli enormi monopoli mondiali, oligarchie gerarchiche che obbediscono alla punta di un iceberg e che hanno un solo scopo: vendere e guadagnare, considerando gli uomini solo come clienti da spolpare”. “Siamo condizionati nella nostra vita, nei cibi, nelle medicine; il “Grande Fratello” usa metodi di propaganda globale a livello sub conscio, crea i nostri bisogni, i nostri desideri; diventiamo schiavi di questa superpotenza”. “E’ necessario tornare alla nostra naturalità, creare il nostro cibo, rifiutare prodotti e bisogni nuovi, che servono solo a vendere e arricchire il “Grande Fratello”, che esiste e si chiama gruppi bancari, monopoli petroliferi o tutto quello che produce soldi”.

Tutto sommato devo dire che l’attuale situazione mondiale trova qualche riscontro nelle “fantasie” di Pasquale. E del resto negli anni Quaranta del secolo scorso anch’io vivevo in una famiglia che doveva far ritorno alla semplicità elementare della vita per sopravvivere. Cibo: in gran parte dall’orto. Di tutto, perfino il “cren” piantato da mio padre, ex mezzadro. Il maiale, come riserva di grasso e di molto altro. Un cortile animato di galline, anatre; gabbie di legno per conigli. E del resto l’obbligatoria tessera annonaria rendeva indispensabile questo ritorno alla terra. Perfino il latte era razionato, annacquato e acquistato, mezzo litro, dopo una lunga attesa in fila. Una lunga fila, di donne specialmente. Guai a cercare sorpassi. La “democrazia”, il rispetto delle regole, della fila, si imparavano immediatamente, anche per evitare insulti, spintoni, strumenti pedagogici un po’ grossolani ma efficaci. Cibo? Dai contadini che vendevano a mercato nero l’eccedenza dei prodotti, si “arricchivano” e preparavano per gli anni ‘60-‘70 la più grande trasformazione storica della società: il totale abbandono della terra da parte dei contadini. Il cibo lo cercavo dai contadini, parenti. Qualche chilo di farina, un po’ di burro, qualche “luganega”, uno o due “musetti”; di rado un salame. Avevo un itinerario, per cui la cerca sostava sempre tra parenti diversi, per poi riprendere la strada iniziale. Cibo: erba per il maiale. Cibo: il maiale stesso a dicembre, che poi serviva a sopravvivere durante l’inverno e oltre. Cibo: pesce azzurro, distribuito da qualche venditrice concordiese in bicicletta; c’erano ancora pescatori di fiume, il Lemene, e di valle. Cibo: a spigolare nelle terre mezzadrili dei parenti di mio padre. Cibo: idem per sporte straripanti di uva. Combustibile: da Costa, in borgo sant’Agnese pannelli rotondi di trucioli pressati con acqua. Solo fumo. Più consistenti le ricerche di legname nei campi. Un pomeriggio, sempre nelle terre mezzadrili io e mio fratello Luciano ne caricammo un carretto pieno. Ma uscendo dal viottolo per attraversare la ferrovia Venezia-Trieste, un apparecchio cominciò a mitragliare e spezzonare il ponte di ferro sul Lemene; c’è ancora. Luciano preso dal panico corse avanti; io dietro ma sempre con il carretto, attento che i preziosi pezzi di legno non cadessero a terra. Combustibile: il migliore era costituito dalle castagne matte degli alberi lungo il viale del Cimitero, e più tardi quelle dei castani del Palù, dove poi costruirono con gli svariati milioni ereditati da Pier Giovanni Mecchia, lo stadio comunale.

“Caro Pasquale, tu sei solo; non hai famiglia; hai un orto e un campo affittato; certamente qualcosa di vero c’è in quello che dici; i poveri sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. Ma come vedi io non ho più l’orto, i terreni anche a Portogruaro vengono continuamente resi fabbricabili, si cementifica tutto, interrano anche i canali (fossa Camucina) e poi la fossa perimetrale dell’antica città, davanti alle mura (Spalti), distrutte, le ultime (1920) per utilizzare le pietre per il ricovero dei maiali nei grandissimi orti e giardini dei “siors” delle due grandi vie che danno sul fiume”. “Caro Pasquale, ai poveri non rimane che stringere la cinghia e sperare che il “Grande Fratello” ci aiuti un poco magari per vendere di più, per poter moltiplicare i “bonus” milionari (in euro) per i pochi privilegiati.
Orwell “1984”? Ci somigliamo un poco”.

Ugo Padovese

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