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Le spigolature di Guareschi
Lettera natalizia
13-01-2014

Ho ricevuto il 24 dicembre scorso dalla signora Sebania Tassiello – laureata in medicina ed appassionata studiosa della Bibbia – una lettera tramite posta elettronica. Uno scritto troppo lungo per poterlo pubblicare interamente, come avrebbe meritato, nell’edizione cartacea. Perciò la redazione ha deciso di inserirlo nella rubrica LE SPIGOLATURE DI GUARESCHI. Troppo lungo, dicevo, ma estremamente interessante e, mi sia concesso dirlo, molto divertente. Talmente interessante e divertente che preferisco non “inquinarlo” con la mia risposta.
Voglio infine precisare che i tre episodi cui fa riferimento la gentile lettrice sono stati pubblicati, il primo Su Portogruaro.net Magazine di luglio–agosto 2013, rubrica CON RISPETTO PARLANDO…, a pagina 14, e i secondi nella stessa rubrica, novembre–dicembre 2013, pagina 18.

Gentile Signor Guareschi,
innanzitutto grazie per l’inattesa e simpatica risposta della volta scorsa, mi son fatta due risate anch’io!
Ora, è inevitabile che Le scriva una seconda e ultima volta (ultima sull’argomento).
Siamo passati dall’ auto arroventata del piccolo Luca di tre numeri fa, all’episodio del roveto ardente sul Sinai, nell’ultimo numero di Portogruaro.net. Due episodi che apparentemente non hanno nulla in comune, se non fosse altro che si  tratta  ancora una volta  - è proprio il caso di dirlo - dello stesso tema   “scottante”: un dio che non risponde. E se là era per una questione puramente anagrafica (sordità legata alla vecchiaia) qui, invece, pare quasi trattarsi  di una questione di buona educazione.
Riprendo le Sue parole:
Mosè, sul monte Sinai: «Qual è il tuo nome, Signore?» E Lui: «Io sono colui che so-no!».                                                 
Ma che risposta è? Si può anche essere esperti criptologi, ma si può dialogare con uno che si presenta così?

Se si possa dialogare o meno  “con uno che si presenta così” ce lo fa intendere  lo stesso Mosè, senza l’aiuto di esperti criptologi. Ricorderà bene che in quel momento Mosè teneva in mano i suoi sandali...ebbene dal testo biblico non pare che  dopo aver ricevuto quella risposta i sandali di Mosè siano volati dietro a qualcuno! (Anzi, sta scritto invece che Mosè si velò il volto per paura).
E con questa battuta potrei tranquillamente  terminare qui il mio intervento, senza dilungarmi oltre su un argomento in cui ognuno la pensa come ritiene più conveniente per la sua vita (ed è giusto che sia così, a patto di far bene i conti), e dove le troppe parole serie spesso rimbombano a vuoto e noiose, soprattutto per Lei che ha uno stile così veloce e vi-vace; questo  se non fosse che nella stessa pagina della sua rubrica Lei ha scritto qualcosa altro di veramente molto inte-ressante, tanto che mi ha sorpreso il fatto che l’abbia inserito proprio in questa circostanza. Di sicuro è più utile a me che a Lei, ma già che l’ha scritto Lei,  Le dico cosa ho letto fra le righe.
Mi consenta quindi di andare avanti, tanto più che può tranquillamente  interrompermi  quando vuole (è l’incomparabile vantaggio dello scritto).
Dicevo, possiamo fermarci alla reazione pacifica di Mosè, tuttavia se siamo interessati a una spiegazione un po’ più fine, dovremmo prima leggere qualche riga più sopra e qualche riga più sotto al  testo biblico in questione, che si trova in Esodo cap 2 e poi dovremmo dare qualche spiegazione.
Giusto per inquadrare l’episodio, diciamo due cose, così in modo molto colloquiale. Più o meno la storia di Mosè la conosciamo: ebreo scampato alla strage di bambini decretata dal faraone, era cresciuto proprio alla sua corte, allevato dalla figlia del faraone; verso i 40 anni aveva sentito forte il desiderio di venire in aiuto ai suoi fratelli oppressi in schia-vitù ma un tentativo di difesa troppo violento (aveva ucciso un egiziano) gli aveva guadagnato solo la diffidenza da parte dei suoi stessi fratelli ebrei e la persecuzione da parte del faraone. Così  aveva trovato  rifugio nel  territorio di Madian, si era sistemato e al momento dell’incontro sul Sinai - aveva circa 80 anni - stava pascolando il gregge di suo suocero.
«Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo» pensò «perché il roveto non brucia?».
Ecco allora che Dio prende l’iniziativa e lo chiama «Mosè, Mosè!» e poi si presenta «Io sono Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».
Mosè allora si coprì il volto perché aveva paura di guardare verso Dio.
Dio allora gli espone il suo piano di liberazione per il popolo eletto oppresso in Egitto e gli affida quindi l’incarico di guidare l’intera operazione. Segue  la perplessità e la reticenza di Mosè «Chi sono io per andare dal faraone e far u-scire gli Israeliti dall’Egitto…», e quindi finalmente la famosa domanda. Domanda che nel testo non appare  proprio diretta. Mosè non chiede infatti “quale è il tuo nome?” (ovvio, glielo aveva appena detto poco prima!) ma pone una domanda  furbacchiona, studiata apposta per tirarsi indietro:  «Ecco io vado dagli israeliti e dico loro: “il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno “Qual è il suo nome?” E io che cosa risponderò loro?». Segue quindi la risposta “incriminata”; «Io sono colui che sono!» e aggiunge «Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe».
Quindi vediamo un Dio che si presenta fin da subito, all’inizio del dialogo e poi di nuovo; insomma, sembrerebbe  che almeno con il galateo siamo a posto.
Sì, va bene, ma che nome è Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe?  rimane pur sempre un linguaggio criptico!” obbietterà lei. Può darsi. A questo punto allora si rende necessario andare un po’ più a fondo: con un po’  di esegesi  il testo diventa un po’ più chiaro. Ma per spiegare il testo, non prenderò le spiegazioni già pronte degli esegeti  di vocazione e professione, ma  prenderò un racconto di vita vissuta, perché già molto prima che inventassero le spiegazioni teologiche,  Dio si faceva  capire molto bene attraverso  esperienze vissute comunemente dalle persone. Non a caso la S. Scrittura non è una raccolta di dogmi, ma la storia di un popolo scelto e amato da Dio.
Fatta questa premessa, che storia prendiamo? Non serve andare molto lontano con le ricerche, io suggerisco di prendere proprio  il divertente racconto che Lei stesso riporta in due trafiletti a fianco dell’episodio del roveto ardente, proprio quell’episodio che Lei ha vissuto tanti anni fa, in collegio al Bertoni, a Udine, negli anni Cinquanta.
Già mi immagino che comincerà  a sorridere… Come? Sacro e profano insieme? Certo!  Dio di sicuro non si offende (questo me l’ha assicurato), i teologi non si scandalizzeranno (infatti non lo verranno a sapere) e, detto tra noi, Lei ha scritto davvero un piccolo capolavoro di esegesi biblica.
Se avrà ancora la pazienza di leggere, si accorgerà, che anche Lei ha vissuto il suo Sinai -  forse il primo, ma sicuramente non l’unico, né l’ultimo - tanti anni fa, ancor ragazzo, perché come si comprende leggendo la Bibbia, pare che Dio si trovi particolarmente a suo agio ad esprimersi  attraverso  la vivacità,  all’acutezza  e,  perché no?, anche attraverso la spiritosaggine dei ragazzi (vedi  Giuseppe, Samuele, Saul, Davide, Daniele… giusto per citarne alcuni).
(Come Le dicevo questo è un segno importante per me, ma per Lei può rimanere un episodio divertente del passato da ricordare con piacere, e nient’altro)
Ma cominciamo subito (riprendo e riporto man mano i passi da Lei scritti).
La mia camerata era all’ultimo piano del palazzo Antonini [...] soffitto basso,  come basse erano le finestre , oltre che piccole e quadrate.
Ecco, qui Lei fa la presentazione del suo Sinai, dove il Cielo si è fatto vicino, e piccoli episodi consentono di gettare  sguardi curiosi  al di qua e al di la di due mondi, separati ma non divisi.
Dalla doccia rientra Gigi Waskinger , carnico, un tipetto grande e grosso come un armadio. Si toglie l’accappatoio, e nudo […] come mammina l’ha fatto, si appoggia al davanzale di una finestra che dà sulla stretta via Gemona.
Qui il grande e il grosso, l’incommensurabile, il trascendente si affaccia e si lascia intravvedere, senza camuffamenti, attraverso le finestre basse, piccole delle nostre visuali ristrette e del nostro povero linguaggio umano.
All’altro lato della strada, ad una finestra aperta, una tenera fanciulla sta spennellando con la biacca le sue scarpine.
Richiama la scena di Mosè che teneva i suoi sandali in mano ...Bella l’immagine di questa finestra aperta che è la nostra propensione ad accogliere la manifestazione di qualcosa che viene dall’alto, e bella anche l’immagine di questa fanciulla intenta a lucidare le sue scarpine, ai suoi affari terra terra, ma la finestra aperta è segno che anche se presi dalle tante occupazioni, l’inatteso può sempre trovare spazio.
Waskinger impugna […]
Qui segue lo “spettacolo” del ragazzotto, con tutte le minuziose operazioni  che Lei descrive in modo molto colorito, ma noi siamo interessati alla metafora, a ciò che questo rappresenta, perché siamo interessati a descrivere la manifestazione del trascendente, che in linguaggio tecnico si chiama epifania del sacro (che evidentemente non ha nulla a che vedere con l’osso sacro e territori adiacenti del racconto in questione!)
Ebbene, com’è questa manifestazione del trascendente? Lo capiamo dalla reazione della giovinetta:
La giovinetta dirimpetto alza lo sguardo, vede la scena strabuzza gli occhi, lancia un piccolo grido e poi, ratta, si ritrae, chiude i vetri, tira la tenda e scompare.
Qui pare di vedere Mosè, che  prima si avvicina a vedere in quanto non credeva ai suoi occhi e poi, infine, si abbassa il velo...
Quando dalla nostra piccola visuale ripiegata sui nostri tanti  problemi alziamo lo sguardo al cielo, spesso siamo ancora pieni di amarezza e attribuiamo la causa dei nostri mali e dei mali degli altri all’inoperosità di Dio; anzi, talvolta attribuiamo a Lui stesso la colpa di tutto, quello che fa ci appare vergognoso. Di fronte ai tanti  perché dell’uomo: perché il male, perchè la morte, perché la sofferenza dei piccoli...non riceviamo risposta. Diciamo che Dio dà scandalo e allora ci ritiriamo, chiudiamo quella finestra e  tiriamo la tenda.
Ed ecco, sembra che abbiamo chiuso definitivamente, non ne vogliamo proprio più sapere.
Invece no, non è ancora messa la parola fine. Infatti...
Non passano neanche due minuti che nella camerata irrompe, trafelato per la corsa su per le scale, don Sergio, uno dei censori, il più giovane. «Chi è stato?» chiede con voce stridula, ansando […] «A… a… ad affacciarsi alla finestra!».
Non è vero che chiudendo quella finestra abbiamo deciso di chiudere definitivamente con Dio. Proprio come Mosè che, dopo essersi velato il volto, continua a fare domande.
E non è neppure vero che gli “scandali” di Dio ci hanno  allontanato del tutto, abbiamo ancora mille domande den-tro di noi a cui noi non sappiamo rispondere e allora siamo portati a rivolgerci a qualcuno affinché ci dia delle risposte, qualcuno che sappiamo o supponiamo possa arrivare in alto, là dove noi non possiamo. Qui ognuno di noi sa bene a chi si rivolge o può essersi rivolto in passato: alla teologia, alle filosofie, alla magia, alle religioni orientali,  alle tecniche di meditazione.... eppure ci accorgiamo, presto o tardi, che anche se fossero in grado di arrivare in alto, quando ci arrivano sembra sempre che gli manchi il fiato, la voce esce a mala pena e possono solo balbettare.
«Ma… nessuno, mi pare…Non si è affacciato nessuno […]».
A una domanda sul presunto colpevole, rimbalza candida, questa risposta. Questa risposta così innocente, signor Guareschi, l’ha data proprio lei! Eh sì, perchè quando si è in alto, quando cioè vediamo le cose da un altro punto di vi-sta,  quando si è amici di questo ragazzotto grande e grosso e conosciamo bene come si comporta di solito, beh non è che poi vediamo tutto questo scandalo… e siamo naturalmente portati a difenderlo di fronte a domande incalzanti e rab-biose.
«Qualcuno si è mostrato a quella finestra, poco fa! Ed era...era nudo! […] Una raaa... una raaa... una persona, lo dice! Una persona che dalla finestra di fronte l’ha visto benissimo!».
«Ah, be’, se l’ha visto benissimo non c’è  problema» dico io, «Basta farla venire qui, quella persona, e guardan-doci tutti in faccia riconoscerà di certo il gaglioffo...».
«Non si può, non si può, non l’ha visto in faccia! Non si vedeva la faccia, la finestra è piccola e bassa...».

È sciocco infatti pensare di poter  vedere benissimo Dio , è sciocco pensare che se Dio esiste allora mi si deve mani-festare in pienezza... ed è sciocco pensare anche di poterlo riconoscere, se di Lui non sappiamo o non vogliamo sapere nulla.
«Come sarebbe che non l’ha visto in faccia? Cosa ha visto, allora?».
Cosa vediamo di Lui allora? in effetti dalla nostra visuale ridotta, a volte volutamente ridotta – diciamocelo pure – vediamo o vogliamo vedere solo le cose che non ci spieghiamo, gli “scandali” di Dio...
E così arriviamo all’ultima battuta:
«Uuhh, ha visto... ha visto... uuhh, aahh, non importa... […] E così [il pretino]compie un rapidissimo dietrofront e si precipita giù per le scale. Fine.».
Sì, qui sì che ci sta bene la parola fine. E’ al posto giusto, è corretto. Fine perché non è riuscito a sapere chi era, fine perché ogni altro tentativo è inutile, fine perché si è arrivati all’esaurimento delle forze personali e tutti gli sforzi, la te-nacia, la sapienza, e persino l’autorità, non sono valsi proprio a nulla. Fine perché si rischia veramente di precipitare. In effetti conoscere Dio non è conquista dell’uomo.
Eppure… eppure l’intuizione era proprio quella giusta: per conoscere chi è il “gaglioffo” della nostra metafo-ra bisogna effettivamente  andare in mezzo alla gente che Lo conosce, fra i suoi amici, fra chi ha confidenza con Lui, in definitiva... fra chi professa di credere in Lui  e passa del tempo con Lui, magari gente che conosciamo anche noi, nostri parenti o amici.
Non so se dopo tutte queste parole mi sono spiegata. Qui sono finalmente giunta alla conclusione del  nostro lungo discorso:  è proprio questo che si intende con l’espressione “Io sono colui che sono. Il Dio di tuo padre, Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe” , vale a dire  “Io sono proprio questo: il Dio di gente che mi ha incontrato, che mi conosce e che conosci bene anche tu. Vai da loro, interrogali, domanda e ti parleranno di me, ti diranno chi sono e cosa faccio, in mez-zo a loro mi farò conoscere”.
Ma se noi vogliamo  incontrarLo solo perché abbiamo la nostra rabbia da sfogare e mille rimproveri da farGli..... è ovvio che Lui non parla e nemmeno questi suoi amici parlano...
Ormai  mancano poche ore al S. Natale e lo scandalo di Dio si ripete ancora: un piccolo bimbo, nudo, deposto in una mangiatoia si affaccia e scavalca la piccola e bassa finestra verso la nostra umanità.
Ma quando mai un bimbetto nudo ha dato scandalo?
Ecco come Dio ci attira a sé senza farci salire le scale col fiatone.

Sinceri auguri di Buon Natale,
Sebania Tassiello

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