Sulla scena si vedono tre letti d’ospedale. Sembrano piccole culle. Sotto le coperte, tre uomini si lamentano delle mogli che parlano troppo, del lavoro che li opprime, della loro solitudine e, naturalmente, di una suora petulante che detta legge nella clinica dove sono ricoverati. Sanno benissimo di non avere niente ma i medici dicono che la loro immaginaria malattia si chiama Sindrome di Münchhausen, in nome di quel personaggio realmente esistito ai tempi di Johann Sebastian Bach: il Barone di Munchhausen, paggio del duca Antonio Ulrico II di Brunswig-Lüneburg divenuto famoso per la sua straordinaria capacità di inventare storie incredibili per attirare l’attenzione su di sé. Ma ecco che in sala si spegne la luce e, mentre i tre pazienti si abbandonano beatamente alle braccia di Morfeo, si spalancano le porte del sogno. Il Barone si rivolge al suo piccolo pubblico con quel tono di voce a metà tra l’ironico e il sornione caratteristico di chi sa molto bene che, nella vita, non bisogna mai prendersi troppo sul serio. “Cari bambini, li avete sentiti questi nostri amici? Sono soli e schiacciati dal peso delle preoccupazioni. Non sanno più sorridere. Ma io credo proprio, di avere il rimedio giusto per loro. È molto semplice: basta un vento impetuoso, una tormenta di neve, il calore di un camino, la musica del mio compagno d’avventura Johann Sebastian Bach e una storia tutta da ascoltare!” Non fa in tempo a finire la frase che un vento cupo sbatte le imposte svegliando di soprassalto i tre uomini mentre la neve imbianca ogni cosa e le dolci note del compositore settecentesco giungono ai loro orecchi. Sul palco c’è una strana cartella clinica e il referto recita così: Ai racconti del Barone di Münchhausen, occorre prestare assoluta fede. Firmato: Aladino. Ed ecco che accade qualcosa di davvero sorprendente. I loro letti si animano e le testiere sembrano aprirsi come le pagine di un libro illustrato. I tre si mettono a danzare a piedi scalzi sul palco pieni di meraviglia, e uno di loro si accorge di avere tra le mani un cappello a larghe tese. Lo indossa e trasporta gli altri nel meraviglioso mondo del prode eroe il quale, a cavallo del suo destriero, di nome Bucefalo, cerca disperatamente di raggiungere la sua armata dispersa nelle desolate lande della steppa russa. Stremato dalla fatica della lunga cavalcata si ferma a riposare e, al suo risveglio, si imbatte in quattro contadini amanti delle osterie e del buon vino che, dopo un’intensa giornata di lavoro, si dispongono ben volentieri ad ascoltare le sue rocambolesche vicende. Dovete sapere, infatti, che nel corso delle sue peregrinazioni quest’uomo pieno di coraggio e di virtù riesce ad arrivare addirittura le lontane terre d’Arabia, dove si mette a servizio del Sultano un uomo dal faccione tondo, i baffi arricciati e il turbante bianco. Pensate che, per difenderlo dai suoi nemici più acerrimi, finisce sulla Luna, popolata da piccoli esseri con le teste intercambiabili cosicché se una di esse doleva veniva mandata a fare un riposino sulla riva del mare. Durante la sua lunga permanenza sul suolo lunare il valoroso combattente, comprende qualcosa di molto importante: su quel piccolo puntino che brilla tra le stelle nessuno rimane solo ma tutti vengono accolti con gioia. Il Barone sta per tornare dal Sultano, ma si accorge che la scala è misteriosamente scomparsa. Che fare dunque? L’esploratore non si perde d’animo e spicca un grande salto nel vuoto che lo riporta sulla Terra a cospetto del Gran Re che lo manda subito in platea a prendere una bottiglia di Tocai per festeggiare il suo ritorno. Come avrete capito, il Barone oltre a essere un grande condottiero, era anche un buon amico e non poteva certo rimanere a lungo senza i suoi compagni di viaggio. Così, attaccato ad una palla di cannone, vola sul campo di battaglia e poi fino al Mar Mediterraneo dove incontra la moglie di un fabbro. Era davvero bella, i suoi lunghi capelli le incorniciavano il volto e i suoi occhi cerulei parevano quelli della Venere di Botticelli. Il Barone, stupito, inizia a complimentarsi con lei per la sua bellezza ed ella, tristemente, gli risponde che suo marito non si era mai accorto di lei perché troppo occupato a lavorare nella fornace e a litigare con i suoi operai lanciando senza sosta lapilli infuocati. Una storia semplice piena di luci, immagini, musica, danza e poesia per inaugurare la Stagione Teatrale proposta quest’anno dal Teatro Russolo, attraverso la quale i tre protagonisti, insieme ai giovani spettatori, scoprono tre piccoli grandi segreti per affrontare senza troppa pena la vita di ogni giorno: ascoltare le mogli, non dedicarsi troppo al lavoro, non avere mai paura di sentirsi soli, e, soprattutto, sperimentano concretamente il saggio insegnamento che si può ritrovare leggendo con attenzione le favole: nessuna storia è falsa finché qualcuno ci crede.
E.T.