Un treno corre sbuffando sui binari. Ad un tratto si ferma. Ludwig scende con passo affrettato. Ai piedi ha un paio di scarpe a punta verniciate di nero. Cammina sicuro per le strade di Bonn. Ma ora, nella sua Bonn, tutto è diverso. Totalmente diverso. Completamente diverso. Non ritrova più nulla di ciò che aveva lasciato dopo aver trascorso in quella città gli anni più travagliati della sua giovinezza. Ora i passanti lo guardano con sospetto e i bambini lo osservano con curiosità. Sembra Gulliver o uno di quei fantasmi che popolano le favole dei più piccoli. “Che cosa sarà rimasto di me?” si domanda Ludwig con nostalgia. Le lacrime gli rigano il viso mentre un nodo gli stringe la gola. Vorrebbe urlare e chiedere al mondo se di lui resta anche solo un lontano ricordo, ma sa bene che non potrebbe udire le risposte della gente. Continua a camminare e scopre che la sua musica è rinchiusa in uno di quei dischi tondi in vinile che vengono prodotti in serie in una fabbrica e sono il segno emblematico di una società imprigionata nel ritmo alienante della produzione e del profitto economico. Giunge quasi di corsa alla casa della sua infanzia, la Beethoven Haus, sulla Bonngasse al n°20. Ormai quella casa è un museo. Adesso è proprio Ludwig a non riconoscerla. Suona timidamente il campanello. Un tipo strano con i baffetti corti e la divisa da SS nazista gli apre la porta. La visitano brevemente. In una stanza c’è un vecchio baule con la chiusura arrugginita. Ludwig lo solleva a fatica. Dentro ci sono molti busti che lo ritraggono, ormai inespressivi, consunti dal tempo e gettati alla rinfusa come un inutile tesoro. Una scala conduce ad un'altra sala dove l’arredamento è imballato con le sue più note pagine di musica come se chi ha abitato quel luogo dopo di lui dovesse traslocare da un momento all’altro. La sua effige è li vicino ad un mobile. Ha in mano la bacchetta come se stesse dirigendo un orchestra ma è intrappolata in una specie di immobile sagoma in cartone. E poi c’è lei, Ellen Wright, quella pianista filonazista che, con la morte negli occhi, continua ossessivamente a suonare un pezzo da lui composto mentre un macchinario le misura i parametri vitali. Ludwig van del compositore argentino Mauricio Kagel, proiettata lunedì 19 agosto alle ore 21.30 al Teatro Russolo è una pellicola surreale a metà tra il film in bianco e nero e la video-istallazione. Una illusione sospesa sul filo della realtà. Girata nel 1970, in occasione del bicentenario della nascita di Beethoven, dimostra in modo eloquente come il Novecento abbia accolto la figura del compositore omaggiandola ed oltraggiandola storpiando le sue composizioni ma facendole comunque riconoscere. Un rapporto assai complesso quello tra Beethoven e la Modernità. Una Modernità che può fare ciò che vuole di un artista universale, versatile e poliedrico. Una Modernità che ha voglia di rompere con il passato proprio come quel grande Padre della Musica del Novecento aveva già fatto prima di lei Una Modernità che esplora e manipola il repertorio beethoveniano sempre in cerca di nuove strade. Nonostante rifacimenti e variazioni, però, la musica di Ludwig travalica ogni confine. Forte. Potente. Espressiva. Intramontabile. Un vortice di emozioni che va oltre ogni tempo e non si arrende nemmeno di fronte ad un’ epoca, piena di contraddizioni come quella moderna che lo utilizza in modo meramente strumentale per onorare la (presunta) grandezza germanica. Giovedì 22 agosto alle ore 21.30, infatti, quella esplosiva spirale di vita, ci aspetta ancora presso il Palazzo Municipale di Portogruaro e, con il Kino Quartet Pojection mapping a cura dei film-maker del gruppo Karmachina, ci accompagna in un atmosfera fiabesca. Le antiche mura merlate si trasformano, come per magia, in una tela impressionista sulla quale si proiettano curiose immagini come una Cascata di note semibrevi o le Geometrie e frasche e, a poco a poco, le finestre divengono le eleganti bifore di un palazzo viennese circondato da rovi dorati. All’entrata un Cavaliere attende di incontrare la sua amata ma una guardia le sbarra il passaggio. Dopo aver superato numerose prove, l’intrepido eroe si ricongiunge con la fanciulla nell’estasi amorosa caratteristica di uno dei massimi esponenti della Secessione Viennese come Gustav Klimt, il quale guarda a Ludwig come all’incarnazione del genio e degli ideali secessionisti dell’amore e dell’abnegazione. Sulle note della Grosse Fuge tratta dal Quartetto d’archi, op.133, a capo di un esercito pieno di ferocia, si affaccia sulla scena della Storia Napoleone cantato da Beethoven come “il paladino dei poveri” che rivelerà, invece, il suo vero volto di despota assoluto e, a prezzo del sangue, imporrà se stesso come Imperatore del Mondo. Un viaggio in compagnia della musica e delle arti visive che ci conduce sempre più in alto verso quel bianco e luminoso astro che ben comprende le pene degli innamorati con il notissimo brano Al chiaro di Luna tratto dalla Sonata per pianoforte n° 14 e ci riporta dolcemente a terra a cavallo delle oniriche visioni del film Fantasia 2000 sul primo movimento della Quinta Sinfonia. Una strada insolita ed originale che ci porta a conoscere ancor più intimamente un artista considerato da tutti ostile scontroso e misantropo che abbraccia il suo pubblico con il cuore e l’animo “inclini al delicato sentimento della benevolenza sempre disposto a compiere azioni generose” come egli stesso scrive nel Testamento di Heiligenstadt il 6 ottobre 1802. Un uomo che ha conosciuto il peso della vita e chiede soltanto di non essere dimenticato del tutto dopo la sua morte…
E.T.