Corie Brettel (Gaia de Laurentiis) è eccitatissima. Corre senza posa da una parte all’altra della scena conquistando immediatamente la simpatia e suscitando gli applausi del pubblico in sala. È appena tornata dalla luna di miele trascorsa con il suo Paul (Stefano Artissunch) ed ora non vede l’ora di mostrargli quel piccolo, ma suggestivo appartamento privo di ascensore situato al quinto piano di un condominio sulla lunga e trafficatissima quarantottesima strada di New York. Sembra avere talmente tante cose da dirgli che urla dalla cima di una scala che pare infinita senza nemmeno aspettare che il marito giunga, ansimando, sulla porta di casa. Lei, ancora ragazzina forse un po’frivola, romantica e piena di voglia di tenerezza, già s’immagina quella notte di passione tra le sue braccia con la luce spenta e le preoccupazioni abbandonate all’esterno, fuori da quel loro piccolo mondo. Ma lui, Paul Brettel, con quel passo cadenzato quasi ritmico, è un avvocato dedito al lavoro, troppo serio, troppo preciso, troppo ordinato e davvero troppo occupato per lasciarsi andare ad una notte d’amore. Attorno a loro, si muovono, sull’agone scenico, la madre di Corie, Ethel, (Valeria Ciangottini) che soffre di solitudine e, non riuscendo a sopportare il distacco dalla figlia, la sommerge di regali e Victor Velasco (Libero Sansavini) il vulcanico inquilino della mansarda sopra l’appartamento della coppia, appassionato d’arte orientale, che, di sicuro, non passa inosservato né ai protagonisti né, agli spettatori, con la sua possanza da baritono e il suo kimono arancione. Quella cena, organizzata da Corie, nella quale si susseguono a ritmo serrato battibecchi ed equivoci tra i personaggi, rappresenta, indubbiamente, il punto di svolta dell’intera vicenda; Ethel cede all’estenuante corteggiamento di Velasco e Paul inizia a non tollerare la gioiosa spensieratezza della moglie che, dal canto suo, dimostra una grande insofferenza nei confronti della sua tristezza cronica e della sua nevrotica gelosia. “Hai perso la gioia di vivere”- dichiara delusa e sconsolata-“Non sei mai venuto a fare una corsa a piedi nudi nel parco con me!” Ed è proprio questa incompatibilità di carattere che spinge la giovane sposa a cacciare di casa il marito, dopo soli sei giorni di matrimonio. In quel momento, sulla scena, è tutto un gioco di sguardi e di silenzi, mentre tutti i progetti da costruire insieme sembrano già un lontano ricordo. Basta una frase piena di verità e franchezza pronunciata da Ethel per riaggiustare quel vaso fragile e bisognoso d’attenzione che è l’unione coniugale tra i due giovani: “Non pensare solo a te stessa e prenditi cura di lui” Al suo ritorno a casa Paul è irriconoscibile: ubriaco, infantile, disperato e completamente disorientato. Cade quasi in braccio a Corie che, solo in quell’attimo, comprende di amarlo veramente. “Sai Corie, sono andato a correre a piedi nudi nel parco come mi avevi detto, e tu non sai quanto e bello…” “Ma il mio Paul non è ubriaco come te, lui mi difende da quelli come te! Paul non ti riconosco più! Dov’è finito il mio Paul?” A piedi nudi nel parco, una commedia scritta da Neil Simon nel 1963 e approdata sul grande schermo nel 1967 con Robert Redford e Jane Fonda, torna ora a teatro con la curatissima ed essenziale scenografia di Francesco Cappelli e la sapiente regia di Stefano Artissunch. A mio parere, il pubblico ha potuto gustare una pièce teatrale incentrata sul giusto, misurato ed efficacissimo equilibrio tra le pause, i silenzi e la parola, sull’accentuazione esagerata del gesto, fonte di divertente comicità e delicata ironia, nonché sull’interazione degli sguardi tra i personaggi molto ben delineati nei loro tratti peculiari, attraverso l’appassionata enfasi di Gaia De Laurentiis, l’eclettismo di Stefano Artissunch e la contagiosa simpatia di Libero Sansavini e Valeria Ciangottini, in un crescendo di situazioni emotive, assolutamente paradossali, dove due caratteri antitetici non fanno altro che mettere al centro il proprio egocentrismo, senza essere in grado di scoprire quella sottile ma irrinunciabile complicità che, spesso, rappresenta l’unica ancora di salvezza delle relazioni, abbandonandosi alla semplicità come fa la neve che scende sorprendentemente all’interno di un buco sopra il soffitto dell’appartamento o come fanno i piedi nudi che corrono, finalmente liberi, nel parco.
Calliope
(Elena Toffoletto)