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La vera storia di Zorba il Greco
08-04-2013: Con Raffaele Paganini, coreografie Luigi Martelletta, musiche Marco Schiavoni

La tenda rossa è ancora chiusa eppure la magia di quella  musica, con cembali e percussioni, irrompe nella sala mentre il pubblico si sta ancora accomodando. Il sipario si spalanca ed ecco apparire sul fondo della scena, un grappolo di case bianche affacciate sul Mediterraneo sormontate da piccole cupole azzurre. Questa è la terra dei lirici e dei tragici di Saffo, Alceo, Eschilo, Sofocle ed Euripide. Ed è da qui, da questa terra che sempre sa accogliere e perdonare, che inizia l’avventura di Zorba il greco, il quale, un giorno, poco prima del matrimonio, in una locanda, tra un bicchier di vino e quattro amici,  abbandona l’amata per partire, come  un eroe omerico, alla ricerca delle sue radici. La ragazza è già pronta per il gran giorno con il velo da sposa tra i capelli. Zorba (Raffaele Paganini) entra a passi di danza. La osserva turbato girandole attorno con fare guardingo e quasi circospetto, come se dovesse prepararsi a confessarle una verità che forse non riesce a confidare nemmeno a se stesso. Lei istintivamente fa alcuni passi indietro mentre il velo vola via e con lui le speranze, i sogni e i progetti di una vita insieme. Ma Zorba ha ormai deciso e, con la sua sacca da pellegrino sulle spalle, inizia un lungo viaggio per il mondo. Ed eccolo in Oriente insieme ad alcune fanciulle dai costumi sgargianti che lo accolgono con grande sensualità come un misterioso viandante. Tra loro c’è lei, vestita di porpora. Bellissima. I due si guardano, si cercano,  si rincorrono, si inseguono e si abbracciano rotolando su una tavola che funge da scivolo avvinti nell’irresistibile richiamo della passione erotica. L’uomo sa che quell’idillio non può durare a lungo e, dopo un fugace saluto, proprio di colui che non ama gli addii, eccolo danzare tra le gitane d’Ungheria avvolto da un ritmo travolgente che, ad un orecchio attento,  non può non evocare le famosissime Danze Ungheresi di Brahms. Ma ecco, che proprio quando il suo cuore inquieto sembra aver trovato pace, è giunto il momento di andare, come gli ricorda il carro dei gitani posto sulla scena e quell’uomo greco che sa ben ascoltare la voce del destino, riparte per tornare in patria e riannodare i fili della sua vita rimasti in sospeso. La sua compagna è sempre lì ad aspettarlo con la stessa fedeltà con la quale Penelope attende il suo Ulisse. Finge di non vederlo, mentre tra  pensieri e lacrime, stende i panni al sole.  Lui entra in con passo leggero e fa per toccarla.  Lei, per tutta risposta, indietreggia abbassando lo sguardo. Un abbraccio e poi quelle parole dolcissime sussurrate dietro un lenzuolo mentre i loro corpi sembrano proiettati su uno schermo come ombre cinesi. E la gioia esplode in uno straordinario Sirtaki danzato a piedi scalzi, simile ad una vivacissima tarantella con  ballerini e ballerine  che volano sul palcoscenico con abiti di scena bianchi macchiati di rosso e Raffaele Paganini che raccoglie in quell’ultima interminabile piroetta, l’infinito roteare del mondo. Uno spettacolo pieno di colori e musica in cui il linguaggio del corpo diviene l’unico strumento di conoscenza dell’Altro. Un Paganini ormai maturo dal punto di vista artistico e professionale che sembra voler guidare i giovani della compagnia. “Questo spettacolo è tutto diverso dalla prima edizione con Lorca Massine  è una creatura mia” - afferma l’Etoile in una sua recentissima intervista- “ed io ne sono davvero soddisfatto”. -Da quanto ho visto, posso affermare con certezza che anche questa volta il pubblico ha dato ragione ad un grande uomo di spettacolo che, nonostante i suoi cinquantacinque anni, si rivela ancora signore indiscusso dell’arte tersicorea, chiudendo con classe e carisma la stagione del Teatro Russolo dedicata al balletto.

E. T.

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