La delicatezza di un violino la sensualità di un violoncello e la forza di un pianoforte. Dal pizzicar delle corde, sulle note del Trio in si bemolle maggiore op. 97 “dell’Arciduca” di Beethoven, sembra uscire la dolce Ermia una delle protagoniste di “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, che corre in una foresta immersa nella nebbia, cercando disperatamente il suo amato Lisandro, e, vinta dalla stanchezza, cade in un sonno profondo. Nella magia del sogno ecco apparire Puck quel simpatico e malizioso folletto vestito d'edera “che al villaggio spaventa le ragazze,che fa cagliare il latte dentro i secchi,che armeggia tra le pale del mulino,e si rende molesto alle massaie vanificando la loro fatica a sbattere la crema nella zangola e si diverte a far smarrire il cammino ai viandanti di notte”, poi la scena dell'immaginazione e tutta per Oberon e Titania, il re e la regina delle fate. La musica sorge delicata per poi farsi più decisa e poi più leggera e quasi danzante. Il pubblico è assorto nell'ascolto e alcune lampade, dalle forme originali disposte sul palco, paiono ampolle di luce e rendono più intima l'atmosfera della sala. La notte ascolta anche l'angosciato e rabbioso urlo degli ultimi, dei dimenticati che vagano senza meta per le buie strade delle grandi città. quelli, i cui volti, solo la luna riesce ad illuminare con i suoi deboli raggi. Questa è la Notte trasfigurata, lirica scritta da Arnold Schonberg nel 1899 e musicata dal pianista e compositore Eduard Steuermann nel 1932. Notte che partorisce il sogno, notte in cui due amanti si inseguono si abbracciano, come Apollo e Dafne, per poi riprendersi ed amarsi ancora accogliendo il mistero di quel bimbo, nato da un rapporto fugace, che ormai appartiene a loro. Con il Trio degli spettri, (Geister-Trio) di Beethoven, gli spiriti scendono lentamente nel bosco notturno, e danzano insieme in un grande girotondo per poi scivolare, ancora una volta, nella mente degli uomini, perché, per dirla con il famoso aforisma shakespeariano, “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”.
Elena Toffoletto