“Non so bene chi sono ma so perfettamente da dove vengo. Vengo dal Venezuela, ho un catetere attaccato al corpo e sono costantemente minacciato da alcuni boss colombiani. Fuggo, fuggo e continuo a fuggire senza sosta. Sono ormai un clandestino senza identità. Il mio rifugio è sempre diverso; uno scantinato, un garage, e adesso un “letto-vasca” dalla lunghezza interminabile con le brandine per non cadere. Accanto a me c’è sempre Pilar una donna sud americana dai lunghi capelli che veglia pazientemente sul mio sonno tormentato. Ad un tratto ricordo che quella sera mia figlia avrebbe disputato la partita di pallavolo con la squadra femminile. Devo assolutamente partecipare! Mi alzo dal mio letto- vasca, faccio qualche passo verso la porta e cado rovinosamente per terra. Qualcuno mi aiuta ad alzarmi e mi rimettono di peso nel mio “letto- vasca”. Ecco che mia moglie si avvicina e con la sua fermezza quasi mi rimprovera dicendomi che non è possibile che io partecipi alla partita di mia figlia perché mia figlia ha smesso di giocare a pallavolo da dieci anni. Alcuni uomini con il camice bianco decidono di togliermi il catetere ormai inutilizzabile. Mi portano in barella lontano dalla mia stanza e iniziano a infilare le mani dentro la mia carne e iniziano a sbeffeggiarmi e a deridermi. Dai che ce lo facciamo questo qui eh? Dai che ce lo facciamo! Vorrei urlare, ma dalla mia bocca non esce alcun suono, vorrei muovermi ma le mie gambe ormai non esistono più”. Così Stefano Codolo, nel suo spettacolo dal titolo: Il clandestino, organizzato in occasione della giornata del malato oncologico, racconta, attraverso un toccante monologo, il suo calvario iniziato nel 2004 quando riceve un’infausta diagnosi: linfoma di Hodking. Il suo racconto non poteva avere un titolo migliore perché l’”Alieno”, come lo chiamava Oriana Fallaci, è il clandestino del corpo, si insinua dentro di te e ti priva di ogni forza fino a farti diventare estraneo a te stesso. I giorni in ospedale sembrano interminabili, i deliri e le febbri sono sempre più frequenti e le cure si alternano tra chemioterapia e aghi aspirati per togliere i linfonodi malati. Poi, un giorno la notizia tanto attesa: L’estenuante corsa alla ricerca del midollo è finalmente terminata: Il figlio risulta compatibile al cento per cento e il midollo riprende a scorrere più veloce di un treno. Il sole torna a splendere e il suo calore penetra dalla finestra della sua stanza, i deliri spariscono e lasciano spazio alla sua mente lucida ed attiva che cerca, lentamente, di tornare alla normalità. Passano i giorni tutti i tasselli della vita tornano a posto, Stefano comincia a riconoscere i visi amici dei medici e degli infermieri che lo hanno assistito e che, durante i suoi deliri, avevano preso le sembianze di sadici fantasmi. Non poteva mancare quella donna, chiamata Pilar, nei suoi onirici vaneggi, ma in realtà presidente dell’associazione di volontariato “In famiglia” la quale, per sette lunghissimi anni, fino alla sua completa guarigione confermata nel 2010, non ha mai mancato di fargli sentire il suo affetto? Il monologo teatrale, per la regia di Piero Ristagno, ha favorito, senza alcun dubbio, l’empatia degli spettatori in sala e si è rivelato il mezzo più efficace per trasformare l’esperienza personale di Stefano Codolo in una viva e vibrante testimonianza di speranza per tutti.
Elena Toffoletto