Notifico un’ipotesi per questa scandalosa dimenticanza. Pur facendo parte della Patria friulana fino all’avvento di Napoleone, di fatto Portogruaro fin dal suo venire alla luce aveva trovato una via d’uscita dall’asfittico mondo feudale “di là dell’aghe”, quasi ‘post litteram’ avesse risposto al drammatico invito di Eugenio Montale. “/Cerca una maglia rotta nella rete/ che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!/”. Balzò fuori con il commercio, trovando un tutor nella Serenissima. La città si forgiò di un’anima veneziana; un amore corrisposto nato certo dall’interesse, ma con rapporti sostanzialmente paritari. Quindi dignitosi.
Portogruaro uscì dalla rete che lo costringeva nella terra feudale del Friul, grazie al commercio, al Lemene, alla centralità dei traffici, al Fontego di San Giovanni, all’esclusiva del transito delle merci da Venezia verso l’interno e specialmente verso il Norico; e tutte le merci verso Venezia, giunte via terra a Portogruaro dovevano pagar dazio negli uffici del fondaco per proseguire via fiume fino a Venezia.
L’emblema quindi del nostro paese, che non è più riuscito a diventare una città, se credesse ai simboli, ai segni, alle cose materiali trasfigurate in testimonianza, avrebbe in 78 anni trovato un sentimento di rispetto per quel Portale, il vero, concreto, immutabile simbolo della città. Il Portale era l’ingresso di un meraviglioso Fondaco (dei Tedeschi, migliori clienti?) che dette ricchezza, potere, cultura, palazzi, vescovado, ponderata libertà e una quasi indipendente totale autorità podestarile in anteprima di secoli rispetto ai vicini del Parlamento friulano che si riuniva una volta l’anno per confermare velocemente le decisioni del governatore di Venezia, in fretta perché era giorno di Fiera a Udine e tutti volevano parteciparvi.
Ma siamo nel 2012: “Cosa vorrai fare da grande?” “Il mestiere della politica, un lavoro che dà potere, soldi, immunità e incute timore al popolo”. A Roma come a Canicattì, a Venezia come a … “Non tutti, Bonaparte”. Ecco allora il fenomeno, che anche la città del Lemene conosce bene, dei politici (alcuni) che possedendo solo questo mestiere cercano di esercitarlo più a lungo possibile, salvando la sedia, intenti a conquistare voti per prolungare il corso, visto che si deve essere votati. Non a Roma dove senatori e deputati non ci appartengono essendo stati scelti in blocco dai boss di alcuni partiti. Congo belga, quando era proprietà personale del re del Belgio.
E poiché certi politici in genere sanno fare, bene o male, male in genere, solo il mestiere di politici, dopo il cursus Comuni, Provincia, Regione, Parlamento, hanno “diritto”a gestire le municipalizzate ai vari gradini. Ricchi, potenti, in comunella con i manager, i portatori di interessi piccoli, medi e grandi, meglio (non da noi) se ammanigliati con l’onorata società, amici dei gestori della sanità e dell’urbanistica, settori dove si “mangia” di più, sottostimatori della mafia economica, anche nel Veneto. E’ vero: da sempre “pecunia non olet” oppure “il denaro è il sangue della politica”, ma c’è modo e modo.
Oggi il fenomeno ha raggiunto cime parossistiche, accompagnato da una burocrazia che ai massimi livelli, rivaleggia con i politici nel fare danni enormi, a carico dei “servi della gleba” costretti a servire, pagare, soffrire, tacere. Sulla porta di un ufficio della sede di una Unità sanitaria ho letto lo slogan: “Bussare e attendere”. Mi è venuto in mente il mussoliniano: “Credere, obbedire, combattere”.
E attenzione: i politici – io mi fermo a quelli di paese che conosco meglio – non sopportano che i cittadini prendano iniziative che potrebbero far crescere la città. Solo loro devono farlo, lo sappiano o meno. “Vae civibus” guai ai cittadini che si intromettono. Mi ricordo che a Portogruaro il primo efficace e utilissimo arredo storico nel centro fu invece realizzato da un commerciante: Benito Iberati.
Con l’aiuto dei colleghi riuscì a posizionare in tutto il centro storico un numero sufficiente di cassonetti in ferro con due funzioni: da portacenere per le cicche e da cestino incorporato per carte e piccoli rifiuti.
Oggi nella “città gentile” di Portogruaro, che pubblicizza con convegni, conferenze, depliant, appelli e auto congratulazioni questa supposta “gentilezza”di una Mortogruaro che continua a perdere demograficamente, socialmente, culturalmente, priva di industrie e con un commercio sempre più impoverito, cicche, carte, foglie gialle d’autunno, macchie nere di chewing gum, eiezioni animali, costituiscono una carta di identità da villaggio non propriamente “gentile”.
Negli anni Novanta era funzionante una Società di Storia che svolse per molti anni una funzione fantastica, che il Comune si sogna, con quella Biblioteca civica che più in-culturale di così non si può: Società di Storia. Difficile farla fuori. Ma venne l’occasione; quando l’associazione chiese al Comune di poter occupare come sede la ristrutturata Torre di Sant’Agnese – su cui non c’era nessun progetto di utilizzo comunale – l’Amministrazione comunale rispose “Niet” e inventò il Museo della Città nella Torre. Non so quanti portogruaresi sappiamo cosa sia; un atteggiamento acrimonioso, astioso, debilitante per la città ma che “diabolicamente” riuscì nell’intento degli amministratori comunali che riuscirono a debilitare e far cessare l’attività dell’Associazione privata.
Peccato mortale se credono in Dio.
Una lunghissima premessa per dire che sono preoccupato che una innovativa idea risolutiva di un utilizzo intelligente e importante del Portale del Fondaco, proposta da un cittadino privato, Angelo Longo un personaggio esperto nel campo pubblicitario di imprese internazionali, possa essere osteggiata dagli inquilini del Municipio, magari anche dai tecnici burocrati che – alcuni almeno – hanno questa caratteristica: gli amministratori ogni tanto se ne vanno nelle municipalizzate, essi invece rimangono al loro posto per tutta la vita, con un potere (ovviamente lecito) che pochi si immaginano e ancora meno conoscono.
Visto che il Fondaco è stato fascisticamente distrutto nel ’34 perché la statale 14 sfrecciasse meglio,
non ha senso collocare il Portale nell’attuale via Fondaco: strada stretta, utilizzata praticamente solo dai residenti, senza visibilità, anzi ostacolo al traffico; incomprensibile anche una proposta di fine secolo scorso, per una collocazione del Portale in Borgo Sant’Agnese, in posizione pressoché ermetica per coloro che entrano a Portogruaro da Viale Venezia. Allora – propone Longo –visto che ciò è possibile e che Portogruaro ha bisogno di inviare messaggi importanti ai forestieri e agli stranieri che entrano da noi, quel simbolo monumentale potrebbe essere “porta di accesso alla città di Portogruaro, di stilema rinascimentale della sua venezianità” da posizionare nella rotonda più opportuna che incontra chi entra a Portogruaro e proviene da Pordenone e dall’uscita dell’autostrada A 4: molti forestieri e moltissimi stranieri specie d’estate diretti ai centri balneari dell’Adriatico. L’uovo di Colombo.
Prenderanno, i politici locali, in considerazione questa proposta di un cittadino, visto che in 78 anni
non hanno avuto né voglia, né tempo, né l’intenzione di salvare dalle discariche l’emblema vero della città di Portogruaro? E i tecnici comunali – solitamente adusi (non tutti) a una feroce isola burocratica dai confini invalicabili – saranno favorevoli a che un privato sia in grado di risolvere quello che sindaci, assessori, consiglieri, non sono riusciti a fare? O meglio non hanno voluto in quasi 80 anni?
Questo il mio dubbio, giustificato dalla lunga premessa che può essere accettata o respinta possibilmente con serie argomentazioni e non con il solito fastidio di chi non vuole essere disturbato da simili storie, perché il suo vivere ha altre problematiche più urgenti: inventare eventi immediati, magari incontri ravvicinati con finale a base di pasticcini e di vini Lison Pramaggiore doc.
Servono o no per il nostro turismo? Quale ?
Ugo Padovese
(immagini di Fotoreporter - Portogruaro)