Può capitare: tra le carte ho ritrovato una vecchia fotografia in bianconero; era il ritratto di un gruppo di bambini bene ordinati e attenti all’obiettivo. Voltavano le spalle al muro dell’asilo “Calasanzio”, nel cortile interno ed erano tutti in divisa di “Figli della lupa”. Curiosai tra i figuranti e con sorpresa riconobbi le sembianze di mio fratello Luciano, 6 anni . Aveva un atteggiamento sconsolato, poco soddisfatto evidentemente delle prime esercitazioni soldatesche del sabato fascista. Era il ’38 e gli mancava ancora un paio d’anni prima di diventare Balilla. Mancavano anche due anni all’inizio della distruzione del “Bel Paese”.
E di Balilla avrei sentito parlare pochi giorni dopo (sabato 14 aprile) a una conferenza in Municipio dall’insegnante Vittoria Pizzolitto e dal prof. Patrizio Manoni quello del museo di Economia Aziendale, un’altra formidabile struttura culturale non bastevolmente apprezzata dalle autorità. L’argomento riguardava l’adozione del testo unico nelle scuole elementari dalle Alpi a Lampedusa, deciso con legge fascista nel 1929. “Balilla” pensavo, “ma è quello di ‘fischia il sasso’”. si chiamava appunto Giovan Battista Perasso detto Balilla. Quello che a Genova scaglia il primo sasso contro gli Austriaci, dando inizio a una rivolta che porterà a liberare la città.
Do un’occhiata all’enciclopedia che conferma quanto ricordavo e mi indica che il fatto è successo nel 1746. Tutto qui. Non c’è scritto altro. Ma un flash improvviso mi fa ripetere ad alta voce : “Che l’inse”, “Che l’inse”, “Che l’inse”. Chiedo inutilmente in giro; il significato non lo sa neppure Angelo Longo che di solito ne sa più di Internet. Finalmente l’illuminazione: mentre scagliava il sasso contro un reparto di soldati austriaci, Perasso detto Balilla avrebbe appunto gridato “che l’inse” che in dialetto genovese significa “Che incominci”, la lotta, la battaglia insomma .
Tutto questo potrà sembrare banale ma i superstiti degli anni ’40 del secolo scorso ricordano che questo fatto storico appariva nei testi fascisti delle elementari con grande evidenza, a suscitare l’ardore militare dei giovanissimi italiani, tanto ripetuto che sicuramente – come era accaduto al sottoscritto – si era inciso profondamente nella memoria dei giovani Balilla dello scorso secolo.
Sono le 10; quasi in ritardo per la presentazione della mostra in Municipio, ma mi fermo lo stesso un attimo davanti a un mercatino dell’antiquariato mensile. Una coincidenza inverosimile: trovo e compro, per dieci euro, una pagella della scolara Luisa Maria Paoletti di Gorizia, anno scolastico 1942- 1943 – anno XXI dell’era fascista. Seconda elementare. In una facciata della pagella, in alto appare la scritta “Ministero dell’educazione nazionale”. Poi un’ opulenta Vittoria alata alza con la mano destra una spada: è attorniata da carri armati, aerei, navi da guerra, alti camini di fabbriche d’armi e sotto in grande la parola “VINCERE”.
Nell’altra facciata della pagella finalmente i risultati dell’anno scolastico 1942-43. Prima dei voti però, in alto, ancora delle precisazioni: “P.N.F. – Gioventù Italiana del Littorio- Anno XXI”.
Finalmente i risultati. Sufficiente e lodevole in tutto, lodevole anche in cultura fascista, ma ahimé un insufficiente in aritmetica e contabilità. “Rimandata alla sessione autunnale d’esami”. Del resto anche l’Italia Fascista di Benito risulterà purtroppo insufficiente con una tremenda batosta non tanto per la Nazione (che probabilmente non esiste neppure oggi nella sua unità) ma per gli italiani: uomini, donne, bambini.
A questo punto potrei tornare a casa: alla conferenza Manoni spiega la totalizzante fascistizzazione scolastica degli italiani fin dalla prima infanzia, il desiderio di farne teutonici individui atti a combattere, il sogno fantasioso di Benito di trasformare l’indole naturalmente pacifica delle gens italica, in normanni inneggianti a Odino. Sul campo le cose andranno diversamente, sia nelle battaglie, dove le fughe sono spesso equiparate a ritirate strategiche e la coscienza civile e l’amore per il prossimo anche a rischio della propria vita, prevarranno sulle leggi anti ebraiche. La stessa Portogruaro dette esempi eroici in questo senso.
Sull’istinto guerresco degli italiani invece basta ricordare che allo sbarco degli alleati anglo-americani a Lampedusa, provvista di adeguate difese di armi e di uomini, gli italiani ebbero soltanto una vittima: un alpino colpito dal colpo di zoccolo di un mulo.
Nel titolo scrivo anche: “Qualcosa da ricordare”: certamente perché oltre al tema “Testo unico di Stato”, si parla di un altro argomento che riguardava specificatamente la città di Portogruaro e il suo contado con “Scuole, maestri, alunni nel territorio di Portogruaro”, anche prima del ventennio, uno spaccato, spesso drammatico, illustrato con imponente apparato di testimonianza dall’insegnante Vittoria Pizzolitto.
Ha descritto la miseria degli alunni, specie nelle scuole rurali delle frazioni; malattie endemiche, scabbia, tubercolosi, malaria, pellagra; sedi del tutto inadeguate, spesso con una sola aula per pluriclassi di 40 – 50 scolari. Mancanza di riscaldamento. Oltre alla cartella gli scolari portavano pezzi di legna. Insegnanti “eroiche”: alcune venivano di lontano in bicicletta; quotidianamente problemi da risolvere; a volte le maestre compravano cibo con i loro soldi per sfamare gli scolari più poveri. Molti assenti: i genitori richiesti rispondevano: “Non abbiamo soldi per comperare gli zoccoli” (sic). Oppure: “I bambini servono a casa, devono lavorare anche loro nei campi”.
E’ un racconto, una storia, importante, dolorosa, necessaria da ricordare, da conoscere: è un pezzo di storia che non deve assolutamente essere dimenticato. Parlando della scuola di quel tempo, si conosce la storia vera della nostra gente, specie dei poveri (la stragrande maggioranza), ma anche le iniziative spontanee (e poco conosciute) di insegnanti, sacerdoti, cittadini che spontaneamente hanno
contribuito ad alleviare situazioni da terzo mondo.
Foto, scritti, oggetti, in grande abbondanza, sono stati raccolti in una mostra irrepetibile organizzata nella Sala delle Colonne. E’ un materiale che non deve andare perso; la mostra potrà essere vista da qualche centinaio, forse, di persone, e dopo? E’ un importantissimo pezzo di storia di Portogruaro che la Giunta Comunale deve salvaguardare. E’ indispensabile un catalogo per fissare sulla carta tutto il materiale che è stato raccolto nei circoli didattici o messo a disposizione da alcuni cittadini.
Un catalogo, un libro può salvare tutte queste testimonianza e costituire fonti indispensabili per completare la storia della città e della campagna: una storia portogruarese che nasce anche dai racconti delle maestre, quasi sempre insegnanti femminili le cui narrazioni non devono assolutamente andare disperse. Ogni individuo è un cosmo, non possiamo dimenticare che Portogruaro, al di là del bello, dell’arte, della cultura, dei grandi personaggi, è stata fatta anche dai tanti poveri contadini analfabeti, spesso privi dell’indispensabile, vecchi a trent’anni, quasi uno strascico umano fuori della vicenda illustre, ufficiale, ricca della città del Lemene.
Al riguardo l’assessore alla cultura prof.ssa Maria Luisa Foschi ha accennato alle difficoltà finanziarie attuali per la pubblicazione di un catalogo su questo segmento indispensabile per conoscere un pezzo di storia portogruarese. Qualcuno le ha fatto notare che la Giunta non può far svaporare un’operazione storica importantissima; a questo punto la Giunta non avrebbe neanche più il diritto di dar vita ad altri “eventi” culturali se prima non salva dalla disseminazione, dalla dimenticanza, dalla distruzione, i tanti documenti raccolti da Manoni e dalla Pizzolito, con l’aiuto di moltissimi altri cittadini.
In questa operazione ci sarà una “pagella” anche per la Giunta comunale e per l’assessore alla Cultura; hanno già una grossa e imperdonabile “insufficienza” per quanto riguarda la Biblioteca. Un importante e stimato dirigente comunale in una relazione verbale, occasionato dal suo saluto in vista del pensionamento, presenti sindaco e assessori ha definito un “cesso” il corridoio angusto e fuori norma di sicurezza , dove dal 1980 sono depositati libri da dare in prestito.
Non pubblicare i documenti “storici” raccolti faticosamente e provvisoriamente per la recente mostra sulla scuola nel ventennio, costituirebbe per questa Giunta non una semplice insufficienza da riparare a ottobre, come è successo alla povera scolara goriziana nel 1943, che abbiamo citato all’inizio di questa annotazione, ma una pesante bocciatura, con effetti deleteri e carenze definitive su un periodo drammatico per cittadini che hanno lavorato, sofferto, e spesso sono stati pessimamente amministrati in un periodo oscuro della nostra storia.
Bocciatura senza possibilità di riparazione , per la Giunta.
Ugo Padovese
storia e memoria
Mi piacerebbe che i documenti e il materiale prodotto per la mostra "Il libro scolastico a Portogruaro: dal testo unico al libero testo" trovassero posto in un'aula della Nievo, quale luogo della memoria; luogo non chiuso e separato dalla scuola, ma aperto al contributo delle persone e delle famiglie, perchè la storia non si scrive una sola volta e per sempre, ma va continuamente riscritta alla luce delle nuove fonti e dei nuovi documenti... la storia è soggetta alla riscrittura, possibile secondo quanto noi siamo capaci di far emergere dall'oblio dei tempi.
Risposta
Gentilissima signora Vittoria Pizzolitto, sono rimasto entusiasta per la sua (vostra) importante mostra sul “Testo unico” e sulle scuole rurali nel ventennio fascista. Complimenti per i contenuti – nuovi – e per la loro organizzazione. Sono perfettamente d’accordo con lei che documenti e materiale raccolto andrebbero esposti in maniera permanente in uno spazio della vecchia sede del Nievo. Fu anche la mia sede delle “elementari” negli anni ’40 (perdoni questa personale intrusione). D’accordo anche che i materiali possano aumentare con nuovi apporti, per continuare e completare il racconto di un periodo che non mi sembra abbia trovato gran che spazio nei numerosi saggi di storia locale. In sostanza attendiamo anche un catalogo di quanto avete fatto; è un pezzo importante di storia, la storia del mondo contadino delle frazioni, operoso, determinante, oppresso, maltrattato et alias. Anche questa è “Storia” con la “S” maiuscola, che non possiamo assolutamente dimenticare. Mi auguro che queste elementari esigenze siano comprese anche dai rappresentanti “istituzionali” della cultura, che non possono trincerarsi dietro burocratiche difficoltà di carattere economico. Se credono veramente in questi valori sono in grado di realizzare quanto Lei propone e quanto molti altri si aspettano. Cordialità. Ugo Padovese