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Annotazioni
Il “basso popolo” del portogruarese non c’entra con il Risorgimento dei “siors”
05-04-2012: Un bellissimo libro di I. R. Pellegrini

La lettura di “Classi sociali e Risorgimento a Portogruaro”, di Imelde Rosa Pellegrini, propone un libro onesto, amaro, affascinante. Indispensabile per capire un poco su questo “avvenimento” che da una sarabanda di incontri, relazioni, conferenze, iniziative scolastiche è stato come al solito, “agiograficamente” e “burocraticamente” presentato come movimento nazionale, dimenticando volutamente che la stragrande maggioranza del “basso popolo” che pativa l’inedia, la scabbia, la pellagra, il colera e la malaria (centinaia di chili di chinino nelle farmacie del Portogruarese), e che con il suo logorante lavoro ingrassava i ceti dominanti del tempo, lasciò a una percentuale infinitesimale della popolazione (10-12 per cento?) parteciparvi e lucrare, dopo che Casa Savoia conquistò con il suo esercito coloniale e con referendum truccati tre quarti dell’Italia.
Al resto ci pensò contro voglia il “basso popolo” che andò a morire nell’inutile strage, lasciando un milione di morti e altrettanti feriti nelle valli dell’Isonzo, guidati da un immarcescibile Cadorna che dirigeva la mattanza di carne umana dalla comoda sede di Udine, dove il cannone austriaco non arrivava.

E’ un libro onesto, amaro, affascinante: si sofferma spesso a descrivere le condizioni di vita del cosiddetto “basso popolo”, definito “villici dediti alla crapula ed al vino”, ritenuti tali non per ingiuste e inumane concezioni sociali, ma per volontà divina, “sottani” per loro colpa, visto che allora si diceva che la questua era un “vizio”, un mestiere che “ingrassava ed arricchiva”, da combattere tanto che ad esempio i Concordiesi poveri che elemosinavano a Portogruaro erano cacciati dai Carabinieri e quelli locali muniti di una speciale targa con la scritta “povertà” rilasciata da una severa commissione, un anticipo della stella gialla di nefanda e recente memoria.

“Basso popolo” in grandissima parte contadini, sul terreno dei siors, non solo quello ereditato dagli investimenti degli aristocratici veneziani (vedi Alvise Mocenigo) al Molinat di Fossalta di Portogruaro, ma anche quello dei “beni comuni”, le “comugne” che dal Medioevo erano lasciate in uso gratuito ai poveri: che vi trovavano legname contro il freddo, erba per il pascolo delle pecore, funghi e ed altri vegetali aromatici da cucinare e mangiare. E acqua inquinata dal Lemene e dal Reghena e dai pozzi. La terra dei siors: senza contare le enormi estensioni di terreno paludoso, reso puro e fertile con la legge “Baccarini” a fine Ottocento, pagata per metà dallo Stato, per un altro terzo da provincia e comune e una miserrima partecipazione finanziaria della “borghesia agraria”, che poi ne venne totalmente in possesso pressoché gratuitamente.
E i contadini? Sicuramente ne ebbero un beneficio igienico, sanitario e in qualche raro caso anche di profitto, ma solo come logica conseguenza di un avvenimento di altri, non di progetti sociali concepiti appositamente per loro. Si vendette meno chinino, scomparve qualche “casone” di paglia, come quelli dei pescatori di Caorle, casoni dove spesso i contadini convivevano con gli animali.
Le classi sociali nell’Ottocento: quella dominante era costituita dai “siors”, i “paroni dei campi”, una ricca borghesia agraria che aveva sostituito aristocratici e clero; dall’altra il “basso popolo”, cioè i “poareti” , i “villici illetterati” i “sottani”, dall’avverbio “sotto”.

I siors erano perfettamente identificati per “status” redditi prestigiosi, potere, salute, tempo piacevole di vita. L’autore (I.R. Pellegrini) è una storica “pignola” nell’accezione nobile del termine, non generalizza ma insegue le realtà traversali, con una ricerca accanita, che lei stessa afferma “umilmente” dovrebbe essere approfondita. Ricerca sempre accompagnata da precisi riferimenti e documentazioni. E così i “proprietari terrieri” sono tali in relazione a piccole, medie e grandi proprietà, e così il “basso popolo” (l’80, il 90 per cento della popolazione?) fittavoli, mezzadri, braccianti a giornata quando c’è lavoro – niente d’inverno – bovari; al vertice i contadini più agiati, proprietari di un piccolissimo fondo. Distinzione anche tra il contadino e l’artigiano, sulla base di valutazioni economiche. Questa massa illetterata e sfruttata può tentare soltanto un Risorgimento sociale, che corre parallelo al Risorgimento politico, come le rotaie di un binario ferroviario. Ma non le “due parallele che si incontrano” come prediceva Aldo Moro, assassinato dalle brigate rosse. I. R . Pellegrini illustra alcune fasi del Risorgimento sociale del “basso popolo” dal 1848 al 1945, quando raggiunge, ma solo sulla carta, diritti, uguaglianza, libertà rispetto, lavoro, da una Costituzione “sacrale” ma solo sulla carta in attesa che, dopo il ventennio di Benito, favorito da insanabili contrasti di due grandi forze, cattolica e socialista, si giungesse al voto universale, a un Parlamento che dovrebbe realizzare la Costituzione. E la scrittrice enumera le rivolte popolari per la nefanda tassa sul macinato causa di una sommossa a Gruaro, domata dai Carabinieri con un morto e numerosi feriti e uno scontro a Portogruaro tra una quarantina di “villici” e un gruppo di Carabinieri. Molti feriti e altri arrestati e incarcerati. In Municipio ci sono ancora le rimanenze di quel carcere: una robusta porta di ferro e di ferro anche una grata per purificare l’aria del bugliolo. Ma ci sono moli altri episodi. E gli illegittimi? “Figli della colpa” salvati qualche volta dalla “ruota” e subito inviati a Venezia, in un ospizio dove la mortalità era del 40-50 per cento. Strappati alla madre perché motivo di scandalo, anche se, alla fine qualcuna voleva tenerselo in casa.

Certo; passi in avanti con Giolitti, un voto lievemente lievitato di quello miserrimo del governo liberale. In certi paesi il Deputato veniva eletto con 30- 40 voti. A Portogruaro dopo il 1866 su 9057 abitanti gli iscritti al voto, per censo, alfabetismo, proprietà e altri requisiti, erano 406, ma votava a malapena il 50 per cento. Poi, ancora con Giolitti nel primo ‘900, il voto generalizzato, ma solo agli uomini. Riassumere è impossibile. Il libro è da leggere perché rivela, in maniera documentata, fatti, situazioni, rivolte, imbrogli, inique concezioni sulla umanità di serie B del popolo, sulla loro naturale e inguaribile minorità, assegnata ab aeterno per volontà divina.

Sono nato nel 1934 e da mio padre mezzadro di una grande fattoria a San Nicolò, innalzatosi poi, a 18 anni, fino al gradino di “cameriere”, socialista in pectore ma con obbligatoria tessera fascista, per lavorare, ho appreso dalla sua viva voce di testimone gli ultimi sprazzi di un fetido feudalesimo della “borghesia agraria” portogruarese degli anni ’20 e ’30. Gli agrari spaparanzati d’estate nelle poltrone esterne del caffè Sguerzi, quando scorgevano un loro sprovveduto mezzadro passare il giovedì, giorno di mercato, sotto i portici, lo insolentivano pesantemente con frasi ingiuriose, “che andasse a lavorare” e altro, fino, talvolta prenderlo letteralmente a pedate. Oppure la testimonianza di un barbiere ultra ottantenne, di via Garibaldi che, apprendista, veniva mandato dal proprietario sempre al caffè Sguerzi per sollecitare i soliti clienti della barbieria già in orario di chiusura. “Dighe al tu paròn che vegnemo quando che voemo” e tardavano ancora, apposta, sicuri che il “paròn” si guardava bene dal chiudere il negozio prima della tarda e supponente apparizione dei “siors”.

Per questo ho un grande rispetto per il monumento al badilante che da tempo “attende”, davanti al Municipio di Concordia Sagittaria, che il vero e completo Risorgimento si avveri anche per i proletari, che esistono ancora, in Italia la maggioranza assoluta delle popolazione; attendono il Risorgimento sociale, l’unico a mio avviso degno di rispetto e da studiare anche nelle scuole.
Eliminando dai testi falsificazioni, bugie, esaltazioni di personaggi che non intendo aggettivare, per un ormai abituale timore di nuovo “sottano”, della cattiveria dei nuovi “siors”.
Ecco perché Portogruaro è ormai un “villaggio”, piccolo, ma bello da viverci per i redditieri. Ce ne sono ancora. Non lavorano e vivono felici.
Grazie Imelde Rosa Pellegrini.

Ugo Padovese


(immagini di Fotoreporter - Portogruaro)

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