Negli anni ’90, un’economia sempre più intristita, ad eccezione del “miracolo” turistico di Bibione e la tenuta di Caorle, spinse i Comuni portogruaresi confinanti con il Friuli a una serie di dibattiti, campagne di stampa e referendum per l’aggregazione alla Regione a Statuto speciale “Friuli Venia Giulia”, nella illusoria convinzione che questa scelta fosse di facile attuazione e sufficiente a risolvere tutti i nostri problemi. I referendum popolari, quasi tutti a favore dell’aggregazione al Friuli (a Portogruaro però non si votò), non portarono a nessun risultato sul piano istituzionale; per tacitare i sindaci la Regione Veneto concesse un “bakshish” una specie di piccola “mancia” ai Comuni confinanti; una elemosina neppure consistente, ma comunque ben accettata in questo momento di crisi; e di aggregazione non si parlò più. L’unico Comune che sicuramente era il più determinato e giustificato nella richiesta era quello di San Michele al Tagliamento: per una parlata friulana molto diffusa, anche se in lenta diminuzione; per rapporti commerciali, sociali, lavorativi e sanitari con la friulana Latisana, da cui San Michele è separato (o congiunto ?) dal ponte sul fiume Tagliamento. Con una differenza rispetto agli altri comuni, corsi al referendum che guardavano in generale al Friuli, ma in particolare a Pordenone. San Michele, anche se non lo ha mai detto, voleva aggregarsi a Udine. Portogruaro abbastanza scettica per sperare in pressoché impossibili nuove aggregazioni amministrative, punita dalla perdita di prestigio con l’allontanamento dalla sede vescovile finita a Pordenone, sorpresa dalla mancata e colpevole perdita di un grande stabilimento capace di quasi 1500 addetti tra diretti e indiretti, stremata da una economia asfittica di un terziario sempre più in crisi: dall’Ospedale, al commercio, dall’artigianato che nel passato aveva surrogato l’area industriale completamente assente, alla scomparsa dell’agricoltura e dall’assenza di insediamenti industriali, si era barcamenato tra aggregazione al Friuli e nuova Provincia con il Sandonatese, che sarebbe stata l’ultima di una serie di gravi disgrazie per il Portogruarese: e saggiamente accettò la realtà. Nel 1991 i due Clubs dei Lions di Pordenone e di Portogruaro pubblicarono un saggio scientifico intitolato: “Pordenone e Portogruaro - Due culture e due economie che si incontrano”. Con quali intenzioni? “Il “libro bianco” voleva essere essenzialmente un contributo all’analisi di un problema, quello della interconnessione tra i territori del Mandamento di Portogruaro e della Provincia di Pordenone che, emerso già da anni, è balzato alla ribalta dell’attualità negli ultimi tempi con prese di posizione, referendum popolari, campagne di stampa, dibattiti”. L’indagine quindi si presentava soltanto come un servizio di conoscenza da parte dei due Clubs dei Lions. Ma proprio la scientificità del “libro bianco” veniva ad azzerare la “complementarietà” delle due economie. E di fatto Portogruaro continuò, perché l’obbligavano fatti, a subordinare utilmente la nostra Comunità al Pordenonese: si davano per scontati elementi unificanti, storici, territoriali, religiosi, linguistici, ma giunti al dunque si doveva ammettere la “povertà” del Portogruarese, che non poteva essere salvato dal “miracolo” bibionese. Negli anni ’80 il 70 per cento degli immigrati a Pordenone da altre regioni, era costituito da portogruaresi. La dipendenza di Portogruaro e degli altri Comuni del Mandamento, nel settore scolastico “si registra con un pendolarismo a senso unico in direzione del capoluogo friulano, specialmente di portogruaresi che hanno scelto di frequentare scuole assenti nel loro territorio: Istituto per geometri, la Scuola del Mobile, l’Istituto d’Arte, la Scuola Alberghiera”. Irrilevante (solo la vicina Sesto al Reghena) il pendolarismo verso Portogruaro. Bibione e Caorle sono frequente meta dei pordenonesi. Nel 1990 dalla Provincia di Pordenone sono state registrate a Bibione 136.847 presenze e 10.454 arrivi e a Caorle circa 148.000 presenze e 11.900 arrivi. Il sindaco Giovanni Forte che già negli anni ‘80 e anche prima (sindaco Aldo Ma ganza – anni 1970-1975) aveva affrontato il problema dell’aggregazione, era giunto alla pessimistica ma sincera conclusione: “Pordenone ha già consumato tutte le sue energie politiche strappando a Udine una grossa fetta di territorio diventato Provincia di Pordenone”. La città è soddisfatta di questo risultato e non intende svegliare Udine, “can che dorme”. E poi – affermava – a Pordenone sostanzialmente interessa solo la costa turistica e in particolare Bibione”. Concludiamo con la Sanità. Nell’anno 1957 su 5.344 ricoverati presso l’O.C. di Pordenone, provenienti da altre provincie del Friuli Venezia Giulia e altre regioni, ben 1.259 provenivano dal portogruarese. “Osservando i dati che riguardano i pazienti inviati dall’O.C. di Portogruaro presso altri presidi ospedalieri, abbiamo totali di invii a Pordenone e Friuli Venezia Giulia numericamente più significativi che altrove. Specialmente per servizi di cardiologia, nefrologia, neurologia, oculistica, laboratorio, medicina nucleare”. Cortesemente i relatori pordenonesi hanno insistito nel parlare di “complementarietà” tra Pordenone e Portogruaro in un più ampio ed organico contesto economico mentre in realtà si trattava di una “indispensabile” subordinazione a un centro, quello Pordenonese, che in dieci minuti di autostrada offriva ai portogruaresi quello che non avevano e che, mutate probabilmente, forse in peggio, qualche cifra, non hanno tuttora.
Spiace per Portogruaro, ma lode al Lions Club di Pordenone, che ha fornito dati corretti e reali. Avrebbero preferito parlare di “complementarietà”, ma altrettanto correttamente si deve leggere “subordinazione” obbligatoria e utile.
Ugo Padovese
(immagini di Fotoreporter - Portogruaro)