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Annotazioni
Patrizio Manoni e l'Arco del Fondaco
06-02-2012

Ultimo, ma solo in ordine di tempo, un libro su Portogruaro: “L’Arco del Fondaco” di Patrizio Manoni, un ex insegnante di economia finanziaria all’ Isis “Luzzatto” di Portogruaro, ma permeato di un affilato umanismo per cui l’arida materia diventa, nelle sue righe, momenti emozionanti di vita. Non a caso scrive: “…talvolta sono citati i nomi di persona per ricordare che la storia è fatta dagli uomini che sono nelle case, sulle strade, che comprano, vendono, parlano o gridano; mercanti, traghettatori, artigiani che siano, tutti hanno una loro storia soprattutto intima: fa piacere pensare a loro come se li conoscessimo, e sapere il loro nome aiuta un po’”.

Chi ama Portogruaro solitamente legge Antonio Zambaldi, il padre della storiografia locale; e poi tutta una serie di libri, saggi, approfondimenti ricerche e altro: pubblicazioni  più o meno interessanti, degne comunque di attenzione. Ma nella biblioteca di un portogruarese non dovrebbero mai mancare tre autori: Antonio Scottà anzitutto: ha scritto storie portogruaresi eccezionali, con uno stile lineare, secco, di fatti che si inseguono, senza i commenti, che devono trapelare dalle vicende obiettive che narra. Ha speso un patrimonio  per accedere agli archivi vaticani, per vicende che trascendono la vita locale. Ma questo è un altro discorso. Metto poi al secondo posto: “Il profilo di Storia Economica di Portogruaro” di Guido Zanco che ha avuto il merito di farci capire il valore del denaro che percepivano l’operaio, il mezzadro, il lavoratore a giornata. Cosa costava un chilo di burro, il pane, un vestito di donna; costosissime le scarpe che il contadino, nei “dì di festa” metteva a tracollo per indossarle soltanto in chiesa.
E infine Patrizio Manoni completa la lezione di Zanco, descrivendo “Le vie e i luoghi del commercio a Portogruaro tra il XII e il XVII secolo”, i mestieri, gli utili legami con Venezia, le iniziative culturali e scolastiche: teatro e musica. Non intendo riassumerlo, posso dire però che il suo racconto, che potrebbe apparire arido ai non iniziati, è semplicemente “affascinante”, da finire in una notte come un giallo. E una miriade di notizie, racconti, episodi, disegni, foto vecchie e nuove, nel senso che appaiono per la prima volta nei saggi sulla città del Lemene, attraggono la nostra attenzione, vorrei dire la nostra umanità, la nostra emotività; a volte ci pare quasi di essere assieme alle persone del passato, cercando radici nei mestieri, tratti da un codice decifrato da Antonio Scottà (1136-1342): Barberius, Becharius, Marinalus, Calefarius (che ristoppa i navigli), Cararius (costruttore di carri ), Cerdo  (calzolaio), Fornacerius (lavoratore di fornace), Nauta (marinaio), Porcarius, Spadarius. Il ferro era la merce del massimo valore che da Venezia al Norico e viceversa doveva passare solo per la dogana di Portogruaro, pagando dazio e correndo, al contrario, pesante denuncia di contrabbando; il Lemene però consentiva di scambiare vari tipi di merce, ancora vicine alla nostra mentalità: frumento, biade, sale, vino; animali da macello: galline e polli; tessuti: lino, peli e pellicce, drappi, fustagni e scampoli. Non a caso  gli ebrei con i loro prestiti a interesse e i banchieri fiorentini, come i Bardi e qualche altro non più fortunato a Firenze, sono approdati nella città del Lemene. Ci sono riferimenti alle grandi date: 1420 quando la Serenissima accetta la dedizione della città a Venezia;  1429 quando il Senato Veneto stabilisce che tutto il ferro diretto a Venezia  e viceversa debba passare (pagando dogana) per Portogruaro; 1557 innalzamento del Portale all’ingresso del Fondaco (dal 1934 errabondo e abbandonato per i vari immondezzai portogruaresi); l’apertura del porto di Trieste che mette fine al monopolio del trasporto del ferro nel Norico; 1797: funerea  fine della Serenissima. Manoni  però, alla grande storia datata,  preferisce soffermarsi con i suoi lettori su alcune arti che si esercitano a Portogruaro: cerdones (cuoiai), pelliparri (lavorano le pelli), sarti, beccai (macellai), marangoni (falegnami), fornaciai – fornasieri (lavorano in una fornace, fanno mattoni), fustagnari, calegarii (calzolai, lavorano la pelle) caldari-favvricanti di pentole, carradori. Manoni è abile nel ricreare un’ambientazione antica; con tante emozioni, anche se chi legge troverà molto altro: il “Luzzatto” che prepara alle nozioni economiche e finanziarie; un Museo di Economia aziendale fondato da Manoni, unico nel suo genere in Italia; gli Itinerari del commercio, dalla via fluviale alla strada della mercanzia, ai luoghi del mercato.
Non posso aggiungere altro, è un libro da leggere e poi da consultare. Io credo che Manoni sia entrato veramente nel “cuore” di una città, formicolante di uomini veri che lavorano, gridano, vendono, comprano, amano, allora come oggi.
Grazie Manoni.

Ugo Padovese

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